La risposta della storica Tarquini alla Meloni che sostiene che la celebrazione del 25 aprile divide gli Italiani: “Il 25 aprile divide? La democrazia nasce dalla sconfitta fascista”

 

25 aprile

 

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La risposta della storica Tarquini alla Meloni che sostiene che la celebrazione del 25 aprile divide gli Italiani: “Il 25 aprile divide? La democrazia nasce dalla sconfitta fascista”

La storica Tarquini: “Il 25 aprile divide? La democrazia nasce dalla sconfitta fascista”

Per la studiosa la festa è per forza “divisiva” perché la Liberazione scaturisce dalla “guerra civile”. Però avverte: non ci difendiamo da neofascismo e razzismo evocando Mussolini a sproposito

Giorgia Meloni torna all’attacco e bolla il 25 aprile come data “divisiva”, pertanto non vorrebbe festeggiare la caduta del fascismo e sferra picconate alla festa della Liberazione. Non stupisce, dalla leader di Fratelli d’Italia. Tuttavia la data può essere solo “divisiva” perché “la Repubblica italiana, democratica, è nata da una guerra civile, dalla sconfitta del regime fascista”. Lo afferma con nettezza Alessandra Tarquini, storica, docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, studiosa del Novecento che si è occupata, tra l’altro, di antisemitismo, sionismo, del partito e della stampa socialista. E giorni fa era tra i relatori a un confronto a più voci su storia e media al Festival sul giornalismo culturale dove il tema del fascismo storico a confronto con i nostri giorni è emerso con forza e ha appassionato molti presenti al Teatro della Fortuna a Fano, nelle Marche.
Professoressa, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha definito il 25 aprile e il 2 giugno “feste divisive” e se dovesse scegliere opterebbe per il 4 novembre a discapito delle date sulla Repubblica e sulla Liberazione dal nazismo e fascismo. Come valuta questa posizione, da storica, soprattutto il 25 aprile?
Nonostante sia importante ricordare la fine della Prima guerra mondiale, e capire  perché l’abbiamo sostenuta, il paragone è improprio. Il 25 aprile continua ad avere la sua importanza: con tutti i limiti delle celebrazioni antifasciste che non sempre sono state all’altezza del loro compito, con una retorica antifascista che non è servita allo scopo, sicuramente una riflessione sull’antifascismo è doverosa. Detto questo la festa è divisiva, e tale deve essere, perché siamo figli di una guerra civile. La Repubblica italiana è nata da una guerra civile. La nostra repubblica democratica è nata dalla sconfitta del regime fascista e dalla fine del Seconda guerra mondiale per cui penso che il 25 aprile abbia un valore. Gli appelli alla pacificazione non servono a niente, non c’è niente di più divisivo della memoria collettiva che non può essere diversa per le esperienze diverse. Questo non significa non rispettare i morti o le ragioni degli altri. Ma che io rispetti le ragioni di un altro per le sue scelte diverse dalle mie non è un appello alla pacificazione: l’altro va riconosciuto anche quando la pensa diversamente ed è stato ed è nemico, ha diritto a lottare ma, ripeto, noi siamo figli di una guerra civile. Claudio Pavone agli inizi degli anni ’90 lo disse da sinistra: anche loro hanno diritto a essere riconosciuti come italiani e allora si iniziò a parlare di guerra civile. Ciò non vuol dire che passiamo tutti quanti a un “volemose bene”, come si dice a Roma. L’altro è italiano come me, certo, ma non dobbiamo appellarci a una pacificazione. Il 25 aprile va mantenuto come festa perché la sconfitta del regime fascista è il fatto positivo della nostra storia.

A Fano al Festival sul giornalismo culturale il tema del fascismo a confronto con l’oggi è emerso in modo esplicito. A suo parere si può tracciare un parallelismo tra fascismo storico, durato fino al 1945, e i nostri giorni?
A mio parere questo parallelismo non si può fare ed è scorretto confrontare esperienze del passato che hanno un inizio ed una fine con esperienze completamente diverse per contesto, per protagonisti, per forme della politica. Il fascismo è stato un regime totalitario a partito unico che ha quindi eliminato il pluralismo dei partiti politici, la vita parlamentare, il pluralismo della stampa, delle opinioni. È stato un regime violento e dittatoriale che non ha nulla a che fare con ciò che accade nelle moderne democrazie. Anche quando ciò che accade è un fenomeno se vogliamo di destra razzista, xenofoba con forme di antisemitismo.
Quanto al razzismo?
Il razzismo precede di gran lunga il fascismo. Nasce anzi nei paesi più democratici, pensiamo ai comportamenti di francesi e inglesi, dei grandi colonialisti nei confronti di popolazioni diverse.
Nel 1492 la Spagna buttò fuori gli ebrei perché ebrei.
Appunto, non c’entra nulla il fascismo. Si può essere razzisti e antisemiti e non essere affatto fascisti e molto democratici. Ripeto: razzismo e antisemitismo precedono di gran lunga il fascismo. Dopo di che è vero che il fascismo ha avuto una concezione fascista e ha una concezoine fascista, i fascisti hanno come obiettivo quello di creare una nuova razza di dominatori e che diventano antisemiti non perché glielo chiede l’alleato tedesco ma perché hanno una visione del mondo che in quel momento esclude gli ebrei dall’essere italiani. Dunque perseguitano gli ebrei italiani ai quali negano di fatto la cittadinanza: 47mila nostri concittadini si vedono trasformata la vita dall’oggi al domani e vengono esclusi.
Eppure ci sono forze in Italia e in Germania che si richiamano al fascismo e al nazismo nei simboli, nell’iconografia.
Innanzi tutto dovremmo chiamare queste forze neofasciste e non fasciste o naziste. Se poi vogliamo vedere quanto di realmente fascista hanno troveremmo ben poco. Per esempio alcune forze partecipano alla vita parlamentare. Un fascista poteva mai partecipare alla vita parlamentare? Non ci difendiamo dal neofascismo, dal razzismo, dall’antisemitismo invocando a sproposito Mussolini o Hitler.
Allora come ci difendiamo?
Cercando di analizzare i fenomeni che abbiamo di fronte. Per esempio il populismo e il fascismo sono due cose molto diverse. Sarebbe bene che giornali, intellettuali, l’opinione pubblica avessero chiaro l’uso di questi termini. Il populismo rispetto al fascismo ha uno scarto consistente. Una delle caratteristiche del fascismo è stabilire il primato della politica. I fascisti cercano e riescono a far saltare la separazione tra società civile e Stato. Se noi non teniamo conto di queste differenze che derivano da anni di ricerche storiografiche, se facciamo un grande minestrone dove mettiamo da Andreotti a Scelba a Salvini, non capiamo nulla e se questo è il modo per combattere Salvini abbiamo perso.

Nel 1933 Hitler fu nominato Cancelliere e legittimato a prendere il potere dal presidente tedesco. Esiste il pericolo che la democrazia vada a pezzi perché si dà spazio a ciò che la distruggerà? 
Non c’è alcun dubbio che sia così. Non solo c’è una responsabilità delle democrazie liberali che subito dopo la Prima guerra mondiale in qualche modo di suicidano, ma è assolutamente vero che ci sia una debolezza della democrazia: quindi esiste la necessità da parte di tutti noi di salvaguardarla e di considerare la democrazia parlamentare non un dato di fatto ma qualcosa per la quale è morta della gente durante la Seconda guerra mondiale. Siamo oggi il frutto di una storia, non dobbiamo dare per scontato che quella liberal-democrazia che abbiamo di fronte sia una volta per tutte. Mi viene in mente che fino agli anni ’90 l’opinione pubblica italiana, e non solo quella, aveva un’idea positiva dell’Europa. Oggi questo pensiero non c’è più. Pensavamo l’Europa fosse un’occasione di modernizzazione, oggi viene spesso associata alle élite. Evidentemente qualcosa sta cambiando e dovremmo essere cauti nell’espressione anche critica rispetto all’integrazione europea.
L’intervista / Pagliarulo dell’Anpi: Non possiamo dimenticare i massacri e i crimini del fascismo

 

tratto da: https://www.globalist.it/storia/2018/11/02/la-storica-tarquini-il-25-aprile-divide-la-democrazia-nasce-dalla-sconfitta-fascista-2033112.html

Emanuela Orlandi e quella strana lettera di Roberto Calvi a Papa Giovanni Paolo II scritta 12 giorni prima di essere ammazzato. E dietro storie di strutture segrete anticomuniste finanziate dallo Ior, massoneria e malavita organizzata.

 

Emanuela Orlandi

 

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Emanuela Orlandi e quella strana lettera di Roberto Calvi a Papa Giovanni Paolo II scritta 12 giorni prima di essere ammazzato. E dietro storie di strutture segrete anticomuniste finanziate dallo Ior, massoneria e malavita organizzata.

 

La lettera che Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, morto (assassinato) a Londra nel 1982, scrisse all’allora Papa Giovanni Paolo II, getta un’ombra sull’operato del Vaticano negli anni della guerra fredda. Infatti, sembrerebbe da quello che si legge nella lettera, che molti soldi dello IOR (molti provenienti dalla Mafia e dalla Banda della Magliana) siano stati usati per finaziare movimenti e gruppi “anti-siovetici” in Sud America e nell’Europa dell’Est per accelerare quel processo che ha portato alla caduta del muro di Berlino nel 1989. Questo portò alla crisi dell’Ambrosiano e al malcontento di molti personaggi di dubbia morale, che hanno visto i propri soldi svanire. Personaggi, si suppone, che per riavere indietro in soldi, non si sarebbero fatti problemi a sequestrare una ragazzina, come potrebbe essere il caso di Emanuela Orlandi, per donarla a qualche alto prelato e usare l’accaduto inseguito come ricatto. I soldi della mafia (e non solo), una volta entrati nelle casse del Vaticano da quanto si suppone, sarebbero stati usati dal Papa o dai suoi rappresentanti, per la “causa polacca”, ma il fine può giustificare i mezzi?

Il banchiere Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, caduto in disgrazia, voleva salvarsi la vita e riacquistare il potere  perso attraverso azioni ricattatorie basate sui documenti in essa contenuti. Calvi decise quindi il 5 giugno 1982 (12 giorni prima di essere impiccato) di scrivere direttamente al Papa – Giovanni Paolo II – affinchè intervenga sul cardinal Marcinkus e sullo Ior, la Banca del Vaticano, azionista del Banco Ambrosiano.

Eccone qui uno stralcio significativo:

“Santità, ho pensato molto, molto in questi giorni e ho capito che c’è una sola speranza per cercare di salvare la spaventosa situazione che mi vede coinvolto con lo Ior in una serie di tragiche vicende che vanno sempre più deteriorandosi e che finirebbero per travolgerci irreversibilmente.
Ho pensato molto, Santità, e ho concluso che Lei è l’ultima speranza. Da molti mesi ormai, mi vado dibattendo a destra e a manca, alla disperata ricerca di trovare chi responsabilmente possa rendersi conto della gravità di quanto accaduto e di quanto più gravemente accadrà se non intervengono efficacy e tempestivi provvedimenti essenziali per respingere gli attacchi concentrici che hanno come principale bersaglio la Chiesa e, conseguentemente, la mia persona e il gruppo a me facente capo.
La politica dello struzzo, l’assurda negligenza, l’ostinata intransigenza e non pochi altri atteggiamenti di alcuni responsabili del Vaticano mi danno la certezza che Sua Santità sia poco o male informata di tutto quanto ha per lunghi anni caratterizzato i rapporti intercorsi tra me, il mio gruppo e il Vaticano.

Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonchè delle colpe commessi dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona, di cui ancora ne subisco le conseguenze (Calvi fu ricattato da Sindona, ndr); sono stato io che, su preciso incarico di Suoi autorevole rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico-religiose dell’Est e dell’Ovest; sono stato io che, di concerto con le autorità vaticane, ho coordinato in tutto il Centro-Sud America la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarkiste; e sono stato io, infine, che oggi vengo tradito e abbandonato proprio da queste stesse autorità a cui ho rivolto sempre il Massimo rispetto e obbedienza”. 

Insomma, Calvi fa una chiamata di correità nei confronti dello Ior, azionista invasive che ha volute che Calvi aiutasse la politica del Papa contro il comunismo, sia in Europa che in Centro America. Le distrazioni di fondi dal Banco saranno scoperte dai liquidatori in svariati miliardi di lire.

 

 

fonte: http://www.politicamentescorretto.info/2018/11/01/quella-lettera-di-roberto-calvi-a-papa-giovanni-paolo-ii-oggi-santo/

Venezia dice addio al suo MOSE, sta affondando – La storia di un fallimento – Ma state sereni, il suo obiettivo primario lo ha raggiunto: far mangiare tutti gli sciacalli che ci giravano intorno!

 

MOSE

 

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Venezia dice addio al suo MOSE, sta affondando – La storia di un fallimento – Ma state sereni, il suo obiettivo primario lo ha raggiunto: far mangiare tutti gli sciacalli che ci giravano intorno!

 

Dopo scandali ed extracosti, il sistema antimarea andrà rottamato? Verifiche e perizie mostrano che molte paratie mobili sono intaccate dalle corrosione e da mitili. E le loro cerniere rischiano di spaccarsi

di ROBERTO GIOVANNINI

I cassoni subacquei sono intaccati dalla corrosione, da muffe, e dall’azione (davvero non si poteva prevedere?) dei peoci, le umili cozze. Le paratoie già posate in mare non si alzano per problemi tecnici. Quelle ancora da montare, lasciate a terra, si stanno arrugginendo per la salsedine nonostante le vernici speciali; chissà che accadrà quando saranno posate sul fondale. La storia del MOSE (la sigla sta per Modulo Sperimentale Elettromeccanico), il sistema di paratoie mobili concepite nel lontano 1981 per proteggere in modo sicuro Venezia e il suo inestimabile patrimonio artistico dalle alte maree che invadono la Laguna provenienti dall’Adriatico, è davvero un’antologia degli orrori. Invece di costare 1,6 miliardi di euro, ne è già costato 5,5; invece di entrare in funzione nel 2011, se tutto va bene partirà all’inizio del 2022.

Tutta l’opera è stata segnata da gravissimi episodi di corruzione, sanzionati in un processo che si è appena concluso e che ha rivelato un turbinoso giro di mazzette per coprire lavori e opere mal progettati e peggio realizzati. Ora poi si scopre ora che per completare l’opera e riparare le strutture già rovinate ci vorranno la bellezza di altri 700 milioni, più almeno altri 105 milioni di euro l’anno per garantirne il funzionamento e la manutenzione, soldi che non si sa chi dovrà sborsare. Ma quel che è più paradossale, nonostante un esborso pazzesco, una volta in funzione il sistema di 78 paratie mobili chiuderà la porta alle maree eccezionalmente alte, da 110 centimetri a tre metri. Ma non potrà fare nulla per limitare i danni quando arrivano le «acque medio-alte», quelle tra gli 80 e i 100 centimetri, sempre più ricorrenti.

In realtà, dicono gli esperti, sin dall’inizio si sapeva che questo «gioiello di ingegneria nazionale» era stato pensato per fronteggiare situazioni estreme, come i 194 centimetri della tremenda alluvione del 4 novembre del 1966. Il sistema di paratoie mobili a scomparsa, poste alle cosiddette «bocche di porto» (i varchi che collegano la laguna con il mare aperto attraverso i quali si attua il flusso e riflusso della marea) di Lido, San Nicolò, Malamocco e Chioggia, potrà isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal mare Adriatico, innalzandosi nel giro di cinque ore.

Ma nella zona di Piazza San Marco basta una pioggia un po’ intensa – come l’11 settembre – per allagare tutto. A suo tempo, il Consorzio Venezia Nuova, l’organismo – oggi commissariato – che gestisce la realizzazione del MOSE, aveva proposto una costosissima operazione di isolamento completo di Piazza San Marco e della Basilica, con la posa di un’enorme guaina. Ma a breve la piazza sarà messa al sicuro fino a 110 centimetri di acqua alta con un intervento che costa solo 2 milioni di euro. Tra cui speciali «tappi» di gomma e metallo nella Basilica per bloccare l’entrata della marea dal sottosuolo, e l’innalzamento dei masselli della piazza.

Insomma, non sempre il gigantismo paga. E quel che è peggio è che secondo una perizia commissionata dal Provveditorato alle Opere Pubbliche di Venezia, braccio operativo del Ministero delle Infrastrutture, il MOSE rischia cedimenti strutturali per la corrosione elettrochimica dell’ambiente marino e per l’uso di acciaio diverso da quelli dei test. Le cerniere che collegano le paratoie mobili alla base in cemento – ce ne sono 156, ognuna pesa 36 tonnellate, un appalto da 250 milioni affidato senza gara al gruppo Mantovani – sono ad altissimo rischio (probabilità dal 66 al 99 per cento) di essere già inutilizzabili.

Un controllo ha mostrato che le cerniere del MOSE di Treporti, sott’acqua da tre anni e mezzo, presentano già uno stato avanzato di corrosione. Nelle prove di questi mesi si sono viste paratoie che non si alzano, altre che non rientrano nella sede per i detriti accumulati, Problemi alle tubazioni, un cassone esploso nel fondale di Chioggia. Una nave speciale (costata 52 milioni) per trasportare le paratoie in manutenzione al rimessaggio in Arsenale ha ceduto al primo tentativo di sollevare una delle barriere. Infine, uno studio del Cnr, che ha aggiornato la mappa del fondale della Laguna, oltre a scoprire nei fondali copertoni, elettrodomestici, relitti di barche, persino containers, avverte che le strutture già posate del MOSE hanno generato una preoccupante erosione dei fondali. Le opere pubbliche, specie quelle mirate a difendere il nostro territorio (a maggior ragione dal rischio climatico) sono fondamentali. Ma il MOSE è il simbolo di quel che non si deve fare.

Fonte LaStampa

 

 

 

Fanno sul serio – Legge di Bilancio, taglio dell’80% dei fondi alle Regioni che non tagliano i vitalizi d’oro…!

 

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Fanno sul serio – Legge di Bilancio, taglio dell’80% dei fondi alle Regioni che non tagliano i vitalizi d’oro…!

Legge di Bilancio, taglio dell’80% dei fondi alle Regioni che non riducono i vitalizi

L’ultima versione della legge di Bilancio prevede un taglio dell’80% dei trasferimenti alle Regioni nel caso in cui non provvedano a ridurre il vitalizio degli ex presidenti, consiglieri e assessori. Le Regioni avranno quattro mesi per adeguarsi dal momento dell’entrata in vigore della legge di Bilancio.

L’aveva annunciato il vicepresidente del Consiglio e capo politico del MoVimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, nel giorno in cui il Senato ha approvato il taglio dei vitalizi: l’obiettivo è quello di ritoccare anche l’assegno degli ex consiglieri regionali. E per farlo il governo targato M5s-Lega ha pensato a un sistema da inserire nella legge di bilancio. L’ultima versione della legge di Bilancio, inviata oggi al Quirinale, prevede un taglio dei trasferimenti alle Regioni nel caso in cui non taglino i vitalizi del presidente e dei consiglieri regionali. La norma è inserita all’articolo 76 della legge di Bilancio, una norma dal titolo “Riduzione dei costi della politica nelle regioni a statuto speciale, ordinario e nelle province autonome”. In realtà, si specifica che la misura è in attesa di valutazione politica.

Il governo vuole quindi tagliare l’80% dei trasferimenti, dando alle Regioni quattro mesi “dalla data di entrata in vigore” della manovra per tagliare i vitalizi dei presidenti di Regione, dei consiglieri e degli assessori. “Ai fini del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica – si legge nel testo – a decorrere dall’anno 2019 una quota pari all’80% dei trasferimenti erariali a favore delle regioni e province autonome, diversi da quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, delle politiche sociali e per le non autosufficienze e del trasporto pubblico locale, è erogata a condizione che, ove non vi abbiano già provveduto, le regioni a statuto speciale, ordinario e le province autonome, con le modalità previste dal proprio ordinamento, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ovvero sei mesi qualora occorra procedere a modifiche statutarie, provvedano a rideterminare, ai sensi del comma 2, la disciplina dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi già in essere in favore di coloro che abbiano ricoperto la carica di Presidente della regione, di consigliere regionale o di assessore regionale”.

Vengono quindi esclusi dal taglio i fondi per il Servizio sanitario e per le politiche sociali, oltre che per il trasporto pubblico. Per quanto riguarda i vitalizi, il governo chiede di definire il taglio entro il 31 marzo 2019 seguendo il principio del metodo di calcolo contributivo, così come avvenuto alla Camera e al Senato. Gli enti interessati da questa norma dovranno documentare “il rispetto delle condizioni mediante comunicazione da inviare alla presidenza del Consiglio dei ministri entro il quindicesimo giorno successivo all’adempimento”. A quel punto, il dipartimento per gli Affari regionali avrà 15 giorni per comunicare al ministero dell’Economia se l’adempimento è stato compiuto o, in caso contrario, l’eventuale riduzione dei trasferimenti. Nel caso di mancato adempimento, le regioni e le province hanno altri sessanta giorni per mettersi in regola.

tratto da: https://www.fanpage.it/legge-di-bilancio-taglio-dell80-dei-fondi-alle-regioni-che-non-riducono-i-vitalizi/

Pd, Calenda, Lorenzin e il loro “house organ” chiamato Repubblica, contro la Raggi. La ribellione di quelli che rimpiangono le nobili gesta politiche di Buzzi e Carminati…!!

 

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Pd, Calenda, Lorenzin e il loro “house organ” chiamato Repubblica, contro la Raggi. La ribellione di quelli che rimpiangono le nobili gesta politiche di Buzzi e Carminati…!!

 

Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, a parte le azioni per cui sono finiti in carcere, dovevano essere delle menti politiche di primaria grandezza, vista la credibilità di cui godevano a destra e a sinistra.

Certo che dovrebbe creare non poco imbarazzo, per chi viene da un partito che ha origine in GramsciDe GasperiBerlinguer, aver avuto di recente come maestri di scienza politica, docenti a tempo pieno con caratteristiche, diciamo, particolari. Ma, avendo tagliato quelle nobili radici, non si rendono più conto della differenza di insegnamento. Anzi proclamano pubblicamente di sentirne la mancanza.

La bella gente dei quartieri bene di Roma, che è andata a manifestare contro Virginia Raggi, lo faceva solo apparentemente, ma di nascosto protestava, piangendo, per la mancanza dei loro maestri di cultura politica. Questa bella gente, soffre da troppo tempo la loro mancanza e non ha più riferimenti alternativi di pari levatura. E questo è un bel problema.

Costoro potrebbero però invitare Buzzi e pure Carminati – è bene sentire due campane e imparare da due angoli di visuale – a scrivere per loro le lezioni dal carcere, anzi potrebbero chiedere l’autorizzazione a trasmettere le loro lezioni con una webcam e ascoltarle in tempo reale.

Oggi ci sono le tecnologie per superare le barriere del carcere per un nobile scopo, facendo così una buona azione di recupero nei confronti di chi ha sbagliato ed è in via di pentimento, ma che è di grande levatura in fatto di cultura politica.

Non mischiamo però, questa bella gente che si sente importante, con chi l’ha invitata ad andare a manifestare – SENZA BANDIERE, PER PUDORE E PER PAURA – e con l’house organ incaricato di creare clamore e risonanza.

Si tratta di ruoli diversi: ad ognuno il suo.

Il Calenda e la Lorenzin, in preda alla sindrome di ‘ansia da mancanza di potere’ – malattia molto pericolosa perché porta a convulsioni – e alla depressione per disoccupazione (anche gli dei e pure i ricchi piangono), sono i capitani – i Cesare, visto che siamo a Roma – . Essi hanno il ruolo di guidare l’esercito destinato alla vittoria, in altre parole si ritengono l’aspirante tandem, a sindaco e vice sindaco, che ha ricevuto la benedizione del ‘mite’ Gentiloni, romano della ‘gens’ patrizia.

Repubblica ricopre il ruolo di house organ dei capitani Calenda e Lorenzin, ruolo pur sempre importante ma che fa venire in mente l’antica nobiltà andata in miseria – afflitta dalla sindrome incurabile della depressione da ‘mancanza di lettori’- .
È il megafono, con problemi tecnici, chiamato a mobilitare e a formare adeguatamente la plebe, gente senza cervello e obbediente, cui indicare cosa dovrà fare al momento opportuno in cabina elettorale.

Il ruolo della bella gente in piazza, che soffre della sindrome da ‘mancanza di prebende’, è quello di andare all’attacco del nemico per conquistare il fortino del potere, sotto la guida dei capitani, per ricevere il dovuto riconoscimento dopo la vittoria.

CalendaLorenzin, l’house organ Repubblica, e la bella gente soffrono tutti di una malattia distonica di cui, per definizione, chi ne soffre non ne è consapevole e perciò pensa di essere in buona salute mentale: la confusione del desiderio con la realtà.

fonte: https://www.silenziefalsita.it/2018/10/28/pd-calenda-lorenzin-e-il-loro-house-organ-repubblica-contro-raggi-forse-che-rimpiangono-le-gesta-politiche-di-buzzi-e-carminati/

Il monito di Andrea Camilleri: “Le parole d’odio possono diventare pallottole”

 

Camilleri

 

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Il monito di Andrea Camilleri: “Le parole d’odio possono diventare pallottole”

Lo scrittore commenta su Rai1 da Fazio la proposta di Liliana Segre per una commissione parlamentare contro odio, razzismo e discriminazioni

“Le parole possono diventare pallottole”. Lo ha detto Andrea Camilleri intervistato a casa sua, in diretta tramite video collegamento, a “Che tempo che fa”. Lo scrittore rispondeva a Fabio Fazio che ha trasmesso un estratto della conferenza stampa della senatrice a vita Liliana Segre sulla sua proposta al Senato di istituire una commissione contro le parole d’odio, di razzismo e di discriminazione. “Le parole di Liliana Segre sono tutte da sottoscrivere – ha esclamato il “padre” del commissario Montalbano – Stiamo educando la gioventù all’odio perché abbiamo perso i valori della vita, siamo riusciti a sopravvivere noi non ebrei all’olocausto per una tale vergogna perché dopo non potevamo più dirsi o sentirci uomini”.
Camilleri non vuole cedere al pessimismo. “Voglio morire con la speranza che miei figli, nipoti e pronipoti vivano in un mondo di pace, bisogna che tutti i giovani si impegnino”.
L’intervista è scaturita dal “lancio” di “Conversazione su Tiresia”, testo di e con Andrea Camilleri sull’indovino cieco dell’antichità greca in un percorso tra letteratura e mito andato in scena l’11 giugno scorso al Teatro Greco di Siracusa nel calendario dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico: lo spettacolo ora arriva, in versione film, nelle sale dal 5 al 7 novembre nelle sale www.nexodigital.it.
Lo spettacolo è stato prodotto da Carlo degli Esposti per Palomar, a cura di Valentina Alferj, con la regia di Roberto Andò le musiche dal vivo di Roberto Fabbriciani.

 

tratto da: https://www.globalist.it/saperi/2018/10/28/andrea-camilleri-le-parole-d-odio-possono-diventare-pallottole-2032898.html

Dalla condanna di Lula alla vittoria di Bolsonaro. Il colpo di Stato di latifondisti e della Chiesa per un Brasile fascista – Sembra assurdo ma è successo…!

 

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Dalla condanna di Lula alla vittoria di Bolsonaro. Il colpo di Stato di latifondisti e della Chiesa per un Brasile fascista

Intervista Alicia Martínez Pardíes, corrispondente dall’America Latina per Rai3 e l’Ansa, giornalista di Clarìn:”Sembra assurdo ma è successo”

Decine di migliaia di donne sono scese in piazza la settimana prima delle elezioni dell’ottobre 2018 in tutto il Brasile per protestare contro il candidato di estrema destra alle presidenziali, Jair Bolsonaro che poi vinse. Ma fu troppo tardi.
‘Ele nao’ (non lui) fu la scritta visibile sulle spille e sui cartelli portati dal gruppo di manifestanti in diverse città del Brasile oltre alla capitale, Brasilia. Il movimento di protesta venne creato su Facebook da un gruppo che riuscì a raccogliere 4 milioni di persone. In America Latina il movimento femminista, pensiamo anche all’Argentina che nel 2018 ha visto scendere in piazza contro l’aborto clandestino milioni di donne, è molto forte. Ma non basta. Purtoppo La Chiesa universale e la classe ricca e conservatrice riescono spesso a bloccare innumerevoli riforme progressiste di civiltà che migliorerebbero le condizioni della donna.
Bolsonaro rientra in un profilo che molti troveranno familiare: sostenitore delle armi, fervente religioso e a favore della famiglia tradizionale, anti-gay e sessista, il suo slogan è “Il Brasile sopra ogni cosa e Dio sopra tutti”. E’ il loro Trump, il nostro Salvini. Nel corso della sua non brillante carriera politica (ha visto convertiti in legge solo due dei 171 disegni di legge che ha proposto in 26 anni da parlamentare) Bolsonaro ha svelato più volte di che pasta è fatto, come quando disse a una deputata dell’opposizione “non ti stupro perché non te lo meriti”, oppure quando definì “vagabondi” gli attivisti per i diritti umani. Bolsonaro è inoltre negazionista, in quanto sostiene che la dittatura militare di Humberto de Alencar Castelo Branco, tra il 1964 e il 1985 non sia mai avvenuta.
Ma chi ha votato Bolsonaro? Se ha vinto anche tante donne avranno scelto lui? Il Presidente riscuote successo grazie alla sua strategia di comunicazione infatti si muove soprattutto sui social network e fa un abbondante uso di meme e filmati per Facebook e Youtube. I giovani, specie i ricchi sui 25 anni, la fascia di popolazione che in Brasile ha maggior accesso a internet, sono sedotti sia dal modo di parlare schietto di Bolsonaro sia da una costante nostalgia della dittatura che hanno i padri di questi ragazzi che fanno parte della classe dei latifondisti. Va anche detto che il Brasile non ha mai fatto i conti con il suo passato violento. Non ha infatti mai condannato i responsabili di 21 anni di dittatura. Anzi, per molti il regime era preferibile alla situazione di odierna.
Ma Lula e Dilma sono davvero i corrotti che i media locali dipingono? In verità quello che è accaduto è stato un vero colpo di stato racconta la collega Alicia Martínez Pardíes, corrispondente dall’America Latina per Rai3 e l’Ansa, giornalista di Clarìn: “Lula è stato condannato a 12 anni di carcere per una montatura. L’inchiesta ruotava attorno alla proprietà di un attico di 216 mq a Guaruja, una delle migliori località balneari sul litorale paulista, che secondo l’accusa è stato donato dal colosso delle costruzioni Oas all’ex presidente in cambio di importanti commesse con la compagnia petrolifera statale Petrobras. Dobbiamo però ricordare che i giudici in Brasile sono latifondisti che non tolleravano più le politiche socialiste dell’uno e dell’altra. Lula e Dilma hanno strappato dalla miseria 30 milioni di persone in Brasile e i ricchi che hanno ancora una cultura padronale della terra non hanno vissuto questo ascensore sociale in modo sereno”. Continua Martínez Pardíes: “Il Brasile è stato l’ultimo paese del continente ad abbolire la schiavitù, questo è molto significativo. Bolsonaro quindi è riuscito a vincere grazie a una vera alleanza tra “padroni” e Chiesa universale che ha convinto le classi più povere e ingnoranti a voltare le spalle al candidato di Lula, Haddad. Nonostante quelli stessi poveri dal governo precedente abbiano ottenuto tanto in termini di politiche sociali e migliori condizioni di vita”. Dunque non è stato votato dalle donne in massa come alcuni sostengono? Chiedo io. “No. Le donne in Brasile si sono mosse in modo organizzato per fermare il candidato fascista ma non è bastato perché le donne molto ricche mogli dei latifondisti e quelle povere che hanno subito il lavaggio del cervello da parte della Chiesa Universale – e sono tantissime- non ne hanno compreso il vero pericolo, può sembrare assurdo ma è successo”.

 

 

tratto da: https://www.globalist.it/world/2018/10/29/dalla-condanna-di-lula-alla-vittoria-di-bolsonaro-il-colpo-di-stato-di-latifondisti-e-chiesa-per-un-brasile-fascista-2032902.html

Chi è Bolsonaro, il nuovo presidente del Brasile. Disse: “Meglio un figlio morto che gay” – Estremista di destra, omofobo, sessista, razzista e nostalgico della dittatura militare…

 

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Chi è Bolsonaro, il nuovo presidente del Brasile. Disse: “Meglio un figlio morto che gay”

Jair Bolsonaro, neo presidente del Brasile di estrema destra e nostalgico della dittatura militare eletto oggi con oltre il 55% delle preferenze, è conosciuto in tutto il Paese per le sue posizioni omofobe, razziste e sessiste. “Preferisco avere un figlio morto che gay” ha dichiarato una volta parlando di omosessualità.

Estremista di destra omofobo e sessista, profondamente razzista nei confronti degli afro latino-americani, nostalgico della dittatura militare degli anni 70-80. E’ il profilo di Jair Bolsonaro, 63 anni, il neo-presidente nazionalista del Brasile che ha vinto le elezioni presidenziali battendo lo sfidante Fernando Haddad, sostenuto anche dall’ex presidente Lula.

Jair Messias Bolsonaro, figlio di genitori di origini italiane, è un ex militare noto per le sue posizioni di destra radicale, da mesi in testa a tutti i sondaggi dopo l’esclusione dell’ex presidente Lula dalla corsa alla guida del Brasile. Candidato dal Partito Social Liberale (Psl), è considerato un razzista con posizioni omofobe e populiste che non ha mancato di esprimere ripetutamente in questi mesi di campagna elettorale, ad esempio quando propose di usare il pugno di ferro per combattere la criminalità: “Se un poliziotto uccide 20 delinquenti non lo metto sotto inchiesta, gli do una medaglia”, ha dichiarato proponendo che siano abolite le leggi che puniscono le forze dell’ordine che commettono abusi. E ancora: “La violenza va combattuta con una violenza più forte”. Come se non bastasse, secondo Bolsonaro è giusto che lo stipendio delle donne sia più basso di quello degli uomini. E per finire l’immancabile frase omofoba: “Preferisco avere un figlio morto che gay”. Posizioni estremiste, in qualche modo sostenute dal ministro degli interni italiano Matteo Salvini, che poche settimane fa ha commentato il risultato elettorale del brasiliano: “Anche in Brasile si cambia. Sinistra sconfitta e aria nuova”.

Come Salvini anche Bolsonaro ha un grande seguito sui social network dove risulta essere il politico più amato con 8,5 milioni di sostenitori. Nato nel 1955 a Campinas, nello Stato di San Paolo, dopo essersi diplomato all’Academia Militar das Agulhas Negras ha servito per un breve periodo nelle unità di paracadutismo dell’esercito ed è sempre stato descritto come aggressivo e ambizioso. Sposato per tre volte, la sua ultima moglie  Michelle de Paula Firmo Reinaldo dopo essere stata assunta come semplice segretaria ha scalato posizioni e ruoli triplicando in pochi anni il suo stipendio, fin quando dei giudici non ne hanno stabilito il licenziamento spiegando che aveva beneficiato dei favori del marito, nel frattempo diventato un politico di successo.

fonte: https://www.fanpage.it/brasile-chi-e-bolsonaro-favorito-alla-presidenza-disse-meglio-un-figlio-morto-che-gay/p1/

La lezione di economia dell’Europa: se sfori il deficit del 2,9% per comprare armi (governo Letta) va tutto bene, se sfori del 2,4% per salvare le banche (Gentiloni) ancora meglio. Se sfori del 2,4% per dare un reddito alla Gente ti massacrano…

 

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La lezione di economia dell’Europa: se sfori il deficit del 2,9% per comprare armi (governo Letta) va tutto bene, se sfori del 2,4% per salvare le banche (Gentiloni) ancora meglio. Se sfori del 2,4% per dare un reddito alla Gente ti massacrano…

 

Manovra, Maniero (M5S): ‘Vergogna Ue: ecco cosa hanno approvato prima di noi’

Vergogna Ue: ecco cosa hanno approvato prima di noi”.

Lo si legge in un’immagine condivisa su Facebook dal deputato 5Stelle Alvise Maniero, che ha riportato i provvedimenti dei governi precedenti approvati dall’Unione europea.

L’esponente pentastellato ricorda che Bruxelles diede l’OK per per la riforma Fornero e l’IMU sulla prima casa al governo Monti, al quale aveva consentito un rapporto deficit/PIl del 2,9 per cento.

Il governo Letta, sempre con uno sforamento del deficit al 2,9 per cento, si distinse per un aumento record della spesa per le armi.

Il rapporto deficit/PIl del governo Renzi, che varò il Jobs Act, salì al 3 percento, mentre quello dell’esecutivo Gentiloni, che diede 20 miliardi alle banche, fu del 2,4 per cento, proprio come lo sforamento previsto dalla Manovra del Popolo.

Il deputato del M5S ha commentato:

“Visto che da Bruxelles veniamo richiamati al ‘rispetto delle regole’, ed alla ‘correzione della manovra’, abbiam deciso di fare gioiosamente una verifica: iniziamo a mettere bene in chiaro chi e quanto le regole le rispetta e le ha rispettate, e facciamolo sapere a tutti. Un bello schema al giorno, sintetico e chiaro, per qualche giorno da oggi.

“A chi ha la coscienza pulita” ha spiegato “questo riassunto a puntate dovrebbe fare un gran piacere, ne siamo certi. Partiamo in piccolo, prima puntata: Il deficit del 2,4% della nostra manovra è poco, tanto, è “una deviazione senza precedenti”, come dice la Commissione Europea?”

“La tabellina di oggi possiamo chiamarla: deficit italiani a confronto. Nei prossimi giorni inizieremo anche ad allargare la visuale 

Come si riconosce un idiota? Semplice, se sei il sindaco di una tra le città più criminali d’Italia, e non hai altro da dire se non: “Assurdo che non ci sia Napoli”

 

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Come si riconosce un idiota? Semplice, se sei il sindaco di una tra le città più criminali d’Italia, e non hai altro da dire se non: “Assurdo che non ci sia Napoli”

Premettiamo che ogni riferimento a Sindaci idioti realmente esistenti è puramente casuale

Ravenna tra le più criminali d’Italia, il sindaco: “Assurdo che non ci sia Napoli”

Ravenna, città dell’Emilia Romagna, è risultata tra le peggiori in tema di criminalità, ma il sindaco ha pensato bene di giustificare i dati attaccando il Sud. Andiamo con ordine. Il Sole 24 Ore, utilizzando dati provenienti dal Viminale, qualche giorno fa ha illustrato l’indice di criminalità per i reati commessi(dalle rapine agli omicidi) e denunciati nel 2017. Ravenna è risultata 16esima su 106 province, con 18.351 denunce, quasi 5mila per ogni 100mila abitanti.

Michele De Pascale, sindaco della suddetta città, ha invitato ad accogliere i dati con prudenza, evitando trionfalismi e drammatizzazioni.  Il suo ragionamento non fa una piega, almeno fino a quando non si è espresso in merito alla credibilità dei dati (che ricordiamo sono del Viminale), mettendo a confronto Nord e Sud. Come lui stesso ricorda, nei primi posti compaiono città come Milano, Firenza e Torino, mentre sono più staccate altre del Sud come Napoli, Palermo e Reggio Calabria. Per De Pascale i dati riferiti alle città del Sud, “che vivono situazioni pesanti di malavita organizzata, di racket e di spaccio“, non sarebbero veritieri, in quanto “nel nord Italia si denuncia e nel sud Italia no perché non si ha fiducia nella risoluzione del problema da parte delle istituzioni“.

Quindi, il primo cittadino ravennate invece di ragionare su come risolvere i problemi della sua città, tende a giustificarli parlando del Sud dove “le persone hanno paura a denunciare perché temono ritorsioni“.

Un’uscita veramente infelice (e ci auguriamo solo questo) che getta ulteriormente fango su un Sud messo effettivamente in ginocchio dalla criminalità, ma per il quale non sembra giusto parlare di gente che non denuncia.

Ci sembra alquanto inverosimile, infatti, la mancata denuncia di rapine, stupri, furti di auto e moto, furti in appartamento e così via.

Probabilmente qualche borioso politico del Nord farebbe meglio a risolvere i problemi del proprio territorio, invece di puntare il dito contro gli altri per nascondere le proprie mancanze.

 

tratto da: http://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/267219-ravenna-tra-le-piu-criminali-ditalia-il-sindaco-assurdo-che-non-ci-sia-napoli/?fbclid=IwAR0uA_IOUe4WkOIPgLC9DXr085oUKEdVFpG5Ik-JEbDJvm99Nu3H9_xOTHc