28 aprile, l’esecuzione di Benito Mussolini – Un particolare che molti ignorano: non furono i Partigiani ad appenderlo, ma i Vigili del Fuoco, per evitare che la gente (la stessa che l’aveva sostenuto) facesse scempio del corpo…!

 

28 aprile

 

 

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28 aprile, l’esecuzione di Benito Mussolini – Un particolare che molti ignorano: non furono i Partigiani ad appenderlo, ma i Vigili del Fuoco, per evitare che la gente (la stessa che l’aveva sostenuto) facesse scempio del corpo…!

 

L’esecuzione del Duce – La testimonianza di Walter Audisio (nome di battaglia “colonnello Valerio”), il partigiano che eseguì la sentenza

Il giorno prima Mussolini era stato arrestato a Dongo e la direzione del CLNAI aveva deciso senza indugio per la sua esecuzione immediata. Prelevato dai suoi giustizieri a Bonzanigo, l’ex duce, insieme alla Petacci, fu portato nel pomeriggio in auto in un un piccolo vialetto davanti a Villa Belmonte, un’elegante residenza di Giulino, dove fu fucilato. Questi gli ultimi minuti di vita di Mussolini secondo la testimonianza di Audisio: “Sull’auto lo feci sedere a destra, la Petacci si mise a sinistra. Io presi posto sul parafango in faccia a lui. Non volevo perderlo di vista un solo istante. La macchina iniziò la discesa lentamente. Io solo conoscevo il luogo prescelto e non appena arrivammo presso il cancello ordinai l’alt. Dissi di aver udito dei rumori sospetti e mi mossi a guardare lungo la strada per accertarmi che nessuno venisse verso di noi“. “Quando mi volsi la faccia di Mussolini era cambiata: portava i segni della paura. (…) Feci scendere Mussolini dalla macchina e gli dissi di portarsi tra il muro ed il pilastro del cancello. Obbedì docile come un canetto. Non credeva ancora di morire: non si rendeva conto della realtà. Gli uomini come lui temono sempre la realtà, preferiscono ignorarla (…). Improvvisamente cominciai a leggere il testo della sentenza di condanna a morte del criminale di guerra Mussolini Benito“. “Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontario della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano”. “Credo che Mussolini non abbia nemmeno capito quelle parole: guardava con gli occhi sbarrati il mitra che puntavo su di lui. La Petacci gridò enfatica: “Mussolini non deve morire”. Dico alla Petacci che s’era appoggiata a Mussolini: “Togliti di lì se non vuoi morire anche tu“. La donna capisce subito il significato di quell’anche e si stacca dal condannato. Quanto a lui, non disse una sola parola: non il nome di un figlio, non quello della madre, della moglie, non un grido, nulla.

Tremava livido di terrore e balbettava con quelle grosse labbra in convulsione: “Ma…ma…ma…ma signor colonnello. Ma…ma…ma signor colonnello“. “Nemmeno a quella donna che gli saltellava vicino, che si muoveva di qua e di là, disse una sola parola. No: si raccomandava nel modo più vile, per quel suo grosso corpo tremante: solo a quello pensava: a quel grosso corpo appoggiato al muretto”. “(…) Faccio scattare il grilletto ma i colpi non partono. Il mitra si era inceppato. Manovro l’otturatore, ritento il tiro ma l’arma non spara. Passo il mitra a Guido (Aldo Lampredi, ndr.), impugno la pistola: anche la pistola si inceppa. Passo a Guido la rivoltella, afferro il mitra per la canna, aspettandomi, malgrado tutto, una qualunque reazione. Ogni uomo normale avrebbe pensato di difendersi ma Mussolini era al di sotto di ogni uomo normale e continuava a balbettare, a tremare, immobile con la bocca semiaperta e le braccia penzoloni. Chiamo a voce alta il Commissario della 52a che viene di corsa a portarmi il suo Mas. Adesso gli sono di fronte, come prima: egli non si è mosso, continua il suo balbettio di invocazione. Vuol salvare solo quel grosso corpo tremante. E su quel corpo scarico cinque colpi“. “Il criminale si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto, gli tirai una seconda raffica di quattro colpi. La Petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente, fu colpita e cadde di quarto a terra. Mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre col Mas, un ultimo colpo al cuore. L’autopsia constatò più tardi che l’ultima pallottola gli aveva troncato netto l’aorta. Erano le 16.10 del 28 aprile 1945“.

Un’altra testimonianza

Libero Traversa (Partigiano, politico, giornalista, scrittore e poeta, militante delle formazioni di “giustizia e libertà”, è stato un protagonista della resistenza e ha partecipato alla liberazione di Milano) non ne può più di sentirsi chiedere di piazzale Loreto. Era un ragazzino. Faceva servizio di guardia al tribunale di Milano e l’hanno chiamato a fare servizio d’ordine a piazzale Loreto. Ricorda quei giorni… Alla Bovisa, Lambrate. I posti di blocco dei tedeschi ovunque. A piazzale Loreto gli operai prendevano i tram per andare a Sesto. Il distributore dove hanno appeso i cadaveri si trovava all’angolo I corpi di Mussolini Claretta Petacci e altri fascisti a piazzale Loreto la notte del 29 aprile 1945. Dopo vennero appesi a un distributore di benzina che oggi non c’è più all’angolo con corso Buenos Aires.

“Nei giorni della Liberazione avevo 15 anni e sorvegliavo con un moschetto l’ingresso del tribunale. Il 29 aprile si diffuse la voce che avevano fucilato Mussolini e portato a piazzale Loreto. Sono andato a fare il turno del pomeriggio nel servizio di sicurezza. Faceva freddo, ma a piazzale Loreto c’era più caldo. C’erano i cadaveri appesi. Li avevano appesi i vigili del fuoco di Milano, un corpo che ha lasciato molti morti nella Resistenza.

Li hanno appesi non per esporli ma perché non si poteva lasciarli per terra. La gente li voleva calpestare. Facevamo cordone. Quando vado nelle scuole a parlare, a volte mi chiedono particolari. Mussolini aveva il sangue che colava dalla bocca? Chissenefrega! Mi incazzo quando sento queste cose. Le cose più importanti di piazzale Loreto sono altre!”

Ricordando quei giorni da partigiano-ragazzino Libero pensa ai 15 partigiani fucilati sul piazzale dai militi della Muti e lasciati a terra nel ’44. Pensa alla perdita del consenso di Mussolini: “La gente che sputava era la stessa che l’aveva sostenuto. La piazza era piena. In tutte le famiglie c’erano stati lutti. Si volevano vendicare. Noi abbiamo perso mio fratello Salvatore sul fronte del Don. L’altro, Andrea, è scampato all’eccidio di Cefalonia. Si pativa da anni la fame, il freddo, i bombardamenti. Anche qui vicino è caduta una bomba. I bombardamenti a Milano sono stati terribili.

Certo, li facevano gli inglesi, ma la gente considerava Mussolini responsabile. È stato lui a volere la guerra. Perché ha mandato i giovani a morire in Russia e in Grecia? Dopo il 25 luglio del ’43 tutto il Paese l’ha mollato. Il popolo era stufo di una guerra non voluta e chiaramente persa. L’Italia è stata invasa dai tedeschi che hanno rimesso il Duce al potere come hanno fatto con altri governi-fantoccio. Non lo consideravamo legittimo. Se non si capisce questa cosa non si capisce piazzale Loreto”.

 

 

 

 

Quando Enrico Mattei e l’Italia facevano paura al mondo – In ricordo di un Grande Italiano!

 

Enrico Mattei

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Quando Enrico Mattei e l’Italia facevano paura al mondo – In ricordo di un Grande Italiano!

 

QUANDO ENRICO MATTEI E L’ITALIA FACEVANO PAURA AL MONDO

Alle 18,40 del 27 ottobre 1962, in Lombardia, il sole è appena tramontato e c’è una pioggia leggera. Il bireattore Morane-Saulnier 760, con due passeggeri a bordo, è pilotato da Irnerio Bertuzzi, ex capitano dell’Aeronautica con due medaglie d’argento, una di bronzo e una croce al merito. È un pilota oltre l’eccezionale. Bertuzzi, da un’altitudine di 2000 metri, comunica alla torre di controllo di Linate di essere in dirittura d’arrivo: è l’ultima volta che sentono la sua voce.

Bescapè è un paesino di contadini, in provincia di Pavia. Pompieri, Carabinieri e giornalisti accorrono per quello che sembra un incendio, ma sono i resti brucianti del bireattore. I testimoni vengono intervistati; Mario Ronchi, un contadino, dice: “Il cielo rosso bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutt’attorno… l’aeroplano si era incendiato e i pezzi stavano cadendo sui prati, sotto l’acqua”. Un’altra contadina di Bascapè, Margherita Maroni, dichiara: “Nel cielo una vampata, uno scoppio, e delle scintille venivano giù che sembravano stelle filanti, piccole comete”. Sugli alberi attorno al relitto vengono trovati resti umani. Appena si viene a sapere chi c’era a bordo dell’aereo, però, cambia tutto: i testimoni ritrattano, sostengono di aver visto le fiamme a terra, e di averlo detto fin dall’inizio. I Carabinieri vanno nella sede della RAI per sequestrare i filmati delle interviste, ma li trovano privi di traccia audio. L’inchiesta si apre e chiude molto velocemente: si è trattato di un incidente aereo.

Ma chi c’era a bordo del Morane-Saulner?

Enrico Mattei nasce nel 1906 ad Acqualagna, nelle Marche, uno di quei paesi graziosi, in mezzo al nulla. Primo di cinque fratelli in una famiglia modesta – suo padre è un brigadiere dell’Arma e sua madre una casalinga – è uno studente brillante, ma che non si applica, come tutti i ragazzi che non sanno ancora con certezza cosa vorrebbero fare nella vita. Un giorno, in una casa di campagna, Mattei assiste a questa scena: due cani enormi si avventano su una ciotola di cibo. Un gattino spelacchiato e malconcio si avvicina alla ciotola nel tentativo di mangiare qualcosa, ma uno dei cani gli tira una zampata talmente forte da farlo volare contro il muro e spaccargli la spina dorsale.

Enrico Mattei ha appena compiuto tredici anni quando capisce cosa vuole fare nella vita.

Si trasferisce a Matelica, un altro piccolo paese in cui vengono lavorati pelle, pietra, ferro; entra come fattorino in una conceria, a diciassette anni diventa operaio, a diciannove è già vicedirettore, a venti direttore. Nel 1928, complici le politiche economiche del fascismo, la conceria fallisce. Così Mattei si trasferisce a Milano e si reinventa come venditore di vernici: in tre mesi diventa rappresentante per un’azienda tedesca. Studia chimica e viaggia molto per l’Italia. Nel 1931 apre una propria azienda con appena due operai, che in tre anni diventano venti.

Grazie all’aiuto e alle lezioni private del vicino di casa, Marcello Boldrini, riesce a laurearsi in ragioneria. Nel 1936 sposa una ballerina; poi, nel 1944, in pieno ventennio fascista, gli viene chiesto di entrare nella Resistenza per occupare nel comando militare del CLN il posto di rappresentante per la Democrazia Cristiana. Mattei accetta: affida l’azienda a due dei suoi fratelli e si mette all’opera. Cura i collegamenti interni, trova soldi, risorse e armi. Sotto di lui le forze partigiane democristiane passano da 2mila uomini a 65mila unità. I fascisti lo arrestano, ma lui riesce a evadere e a guerra finita gli viene concesso l’onore di marciare in prima fila nel corteo per la Liberazione di Milano. La Resistenza gli conferisce la medaglia d’oro e il generale USA Mark Wayne la stella di bronzo.

È ora di ricostruire l’Italia. Mattei torna a vestire i panni del civile e viene nominato commissario speciale all’Agip, una piccola azienda fondata durante il ventennio che si occupasse di “cercare, acquistare, trattare e commerciare petrolio”. L’Agip è sempre stata sfortunata: aveva scavato oltre 350 pozzi tra Italia, Albania, Ungheria e Romania senza trovarne una goccia. Aveva avuto delle microscopiche concessioni in Iran, ma le aveva cedute. Nei corridoi si mormora che Agip sia l’acronimo di Associazione Gerarchi In Pensione. Mattei dovrebbe semplicemente liquidarla, ma, appena entrato, si pone una domanda che nessuno si è fatto prima: perché abbattere l’unica azienda petrolifera statale? Chi lo vuole?

Be’, molta gente. Innanzitutto gli americani, perché ci hanno appena liberato e puntano a espandere il loro dominio petrolifero. Lo vogliono anche le aziende private Edison e Montecatini, per evitare la concorrenza statale. In questo clima di guerriglia, Mattei contatta il suo predecessore, allontanato per motivi non chiari. Si chiama Zanmatti. Lui gli rivela che con le ultime trivellazioni del 1944 era stato trovato del metano a Caviaga, in provincia di Lodi, ma il fascicolo era stato subito chiuso e secretato: il fronte avanzava e non ci si poteva permettere che il gas finisse in mani sbagliate. Mattei vola a Caviaga, dove trova ancora attrezzature, macchinari e i vecchi operai disoccupati. Perché, finita la guerra, non è ripartito niente?

Dal nulla riceve la telefonata di Giorgio Valerio, presidente di Edison, che si offre di comprare tutte le attrezzature dell’Agip per 60 milioni di lire. È un’offerta esorbitante: perché qualcuno dovrebbe acquistare dei rottami a peso d’oro? Mattei rifiuta. Riassume Zanmatti e tutti i vecchi tecnici, chiede un prestito in banca, unifica Agip Roma e Agip Milano. Il 17 ottobre 1945 diventa vicepresidente dell’azienda e riapre gli impianti di Caviaga. Nel marzo 1946, dal pozzo numero 2 esce metano.

Ora bisogna solo portarlo nelle case degli italiani.

A livello di burocrazia sarebbe un inferno, ma Enrico ragiona da cattolico e agisce da partigiano: scava viadotti durante la notte, posa i tubi, e la mattina dopo li ricopre, chiedendo scusa. Quando arrivano avvocati, multe e processi, li paga – se avesse fatto tutto legalmente avrebbe dovuto pagare il doppio e perdere il quadruplo del tempo, forse senza ottenere nulla. Ora Enrico non è più solo un imprenditore, di fatto è diventato un condottiero. Se trovasse il petrolio renderebbe l’Italia autosufficiente dal punto di vista energetico; indipendenza energetica significherebbe indipendenza economica, che significherebbe a sua volta indipendenza politica. Mattei ha la visione di un’Italia che rialza la testa dopo la guerra e che va avanti sulle proprie gambe, senza dover rendere conto a nessuno.

Questo mette in grave difficoltà il piano di colonizzazione che altre potenze avevano messo in atto fin dal 1928 con l’accordo della linea rossa e gli accordi di Achnacarry. Sette aziende avevano stabilito quali sarebbero state le zone d’estrazione e i prezzi di vendita del greggio: di fatto si trattava di un cartello, che prevedeva di spartirsi il 75% del petrolio estratto da Africa e Medioriente. C’erano dentro le statunitensi Esso, Mobil, Texaco, Chevron e Gulf oil, la Shell dall’Olanda, e la British Petroleum. Mattei le chiamava le “sette sorelle”. Sorellastre: oltre a imporre clausole contrattuali vergognose, trattavano gli operai locali alla stregua di schiavi e si imponevano ai governi, considerandoli miserabili. Avevano già deciso di fare dell’Italia un cliente: tra loro e i portafogli nazionali c’era solo Mattei.

Iniziano così a fargli la guerra. Grazie agli agganci con la politica italiana, il 9 maggio 1947 riescono a infilare nel cda Eugenio Cefis, il suo uomo di fiducia Raffaele Girotti e un avvocato siciliano, Vito Guarrasi, detto “Don Vito”. Personaggio spaventosamente controverso, cugino di Enrico Cuccia, Guarrasi, ha mani dappertutto – sul lotto di una banca, sul quotidiano comunista L’Ora (dove lavora il giornalista Mauro De Mauro) – ed è socio della Ra.Spe.Me, che opera nel settore medico. Il suo socio è Alfredo Dell’Utri, padre di Marcello. I nuovi membri rimuovono Mattei dalla carica di vicepresidente, ma non riescono a estrometterlo. Ottengono l’accesso agli archivi segreti delle ricerche Agip e fanno chiudere Caviaga, mentre una raffineria di Marghera viene venduta alla British Petroleum. La Edison si prepara a trasformare l’Agip in una società divisa un terzo a lei, un terzo all’AGIP e un terzo alla società Metano, che poi è un nome fittizio per coprire una partecipata Edison. Mattei ha bisogno di più forza per difendersi, così nel 1948 entra in politica. Tramite agganci e conoscenze arriva fino a De Gasperi in persona. Quando la Democrazia Cristiana vince le elezioni, De Gasperi spazza via il CDA dell’AGIP e nomina presidente Marcello Boldrini. Lui mette vicepresidente Mattei, che sceglie i suoi uomini tra vecchi commilitoni e compaesani. Gli USA contrattaccano e stanno per far approvare una legge mineraria capestro, quando succede qualcosa che nessuno avrebbe potuto prevedere: a Cortemaggiore l’Agip trova il petrolio.

È una sacca da pochissimi ettolitri, ma a Mattei basta. Contatta la stampa e i fotografi. Da bravo venditore ingigantisce talmente tanto la questione che le azioni salgono, la legge sullo sfruttamento minerario cade e, anzi, il Parlamento decide di riservare allo Stato le ricerche nel sottosuolo della Val Padana. Mattei estrae metano a Cornegliano, Pontenure, Bordolano, Correggio e Ravella. Indice un concorso per il logo e sceglie il cane a sei zampe che sputa fuoco. Lo slogan “il miglior amico dell’italiano a quattro ruote” è di Ettore Scola. Inventa le stazioni di servizio coi gabinetti, la pulitura vetri gratis, il controllo di olio e pneumatici; dove non arrivano i metanodotti, porta il gas con le bombole; vende l’idrogeno derivato dal metano alle aziende di fertilizzanti, facendone crollare i prezzi del 70% e permettendo a chiunque di coltivare campi. Abbassa anche il prezzo della benzina, mettendo in crisi la Edison e la Montecatini. Nel 1952 fonda l’Eni (con vicepresidente sempre Boldrini) e trasforma la vita degli italiani.

Quando il petrolio di Cortemaggiore sta per finire, Mattei si rende conto che è ora di cercarlo all’estero. Nel dicembre del 1959 incontra a Montecarlo un rappresentante della Shell: gli propone di aprire insieme una raffineria in Tunisia, ma il rappresentate rifiuta: “Tratto coi petrolieri, non coi venditori”. È guerra aperta. Mattei finanzia Il Giorno, un quotidiano da cui diffonde le idee per una politica estera che si distingua da quella colonialista degli altri Paesi.

È una filosofia che prende il nome di “Neoatlantismo” e che alle sette sorelle non piace – perché ci vuol poco a capire che vincerà. Mattei offre ai Paesi produttori di diventare suoi partner e si impegna a estrarre solo il 50% del greggio. Non guarda il terzo mondo dall’alto in basso, ma come se si trattassero di pari – anche lui, una volta, era povero e ignorante. Offre tecnologia, borse di studio, addirittura scuole di formazione a Metanopoli, la città che ha fatto edificare in Val Padana. E non truffa mai, perché Mattei è un venditore e sa che gli accordi capestro all’inizio fruttano, ma poi non fanno che crearti nemici.


Visita del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi a Metanopoli

Nel 1957 ottiene l’autorizzazione a cercare petrolio in tre zone dell’Iran. Il dipartimento di Stato americano scrive che “Gli obiettivi di Mattei in Italia e all’estero dovrebbero destare preoccupazioni. Mattei rappresenta una minaccia per gli obiettivi della politica che gli Stati Uniti intendono perseguire in Italia”. L’anno successivo Mattei arriva anche in Giordania. Il 9 settembre 1960 nasce l’Organisation of Petroleum Exporting Countries, detta OPEC. Ne fanno parte Venezuela, Iraq, Iran, Kuwait, Arabia. Il suo sogno è un’unificazione mondiale del patrimonio energetico: ricreare un cartello, ma in maniera equa ed etica. Il mondo sta abbracciando la sua visione.

A Metanopoli ormai ci sono studenti provenienti da tutto il mondo. Nello stesso anno Mattei osa ciò che nemmeno le sette sorelle potevano prevedere: chiude un accordo con l’URSS per ottenere “quantitativo molto considerevole di petrolio”, grazie al quale copre il 25% del fabbisogno dell’Eni e a un prezzo mai visto prima. È il colpo definitivo al cartello delle sette sorelle. Il 12 novembre, sul New York Times, un articolo accusa lui di essere filosovietico e l’Italia “di non rispettare i patti del dopoguerra”, oltre ad aver compromesso “futuri equilibri politici”.

Nel 1962 Mattei muore, a bordo del suo aereo. L’inchiesta si chiude “nell’impossibilità di accertare le cause dell’incidente”. Ma non è un incidente. Qualcuno ha messo 100 grammi di esplosivo Compound-B nel cruscotto, perché detonasse all’attivazione del carrello: chi? Il regista Francesco Rosi decide di girare un film sulla vicenda e si avvale dell’aiuto del giornalista de L’Ora, Mauro De Mauro. Dopo alcune indagini, il reporter confessa a un collega di avere in mano “una roba grossa che farà tremare l’Italia”. Ed è per questo che viene neutralizzato. Non viene ucciso per strada com’è tipico degli omicidi mafiosi: viene sequestrato senza rivendicazioni, né richieste di riscatto. Anche le indagini sulla sparizione di De Mauro subiscono depistaggi. Nel 1973 esce un libro chiamato Questo è Cefis – L’altra faccia dell’onorato presidente. Lo pubblica la AMI di Graziano Verzotto, uomo di Enrico Mattei e informatore di Mauro De Mauro. Il libro è scritto da un misterioso Giorgio Steimetz, sul cui vero nome ancora oggi si nutrono dubbi. Il libro subisce l’opera di censura più potente che si sia vista in epoca moderna. Viene ritirato da tutte le librerie, persino dalla Biblioteca nazionale di Roma e da quella di Firenze – che per legge dovrebbero ricevere una copia di ogni libro stampato in Italia. Dentro pare ci sia una biografia non autorizzata del presidente, che dopo la morte di Mattei è passato alla Montedison – frutto della fusione di Edison e Montecatini. Ma qualcuno riesce a leggere il libro, ed è Pier Paolo Pasolini. Quando viene assassinato nel 1975 sta scrivendo Petrolio: il personaggio di Cefis avrebbe il nome di Troya. Purtroppo il libro è incompleto, si arresta al capitolo “Lampi sull’Eni” di cui esisteva solo una nota, chiamata “appunto 21”.


Scena dal film “Il Caso Mattei” di Francesco Rosi

Francesco Rosi Nel film “Il Caso Mattei”

Scena dal film “Il Caso Mattei”

Mattei e il suo Jet personale

Passano gli anni. Arriva la crisi energetica del 1973, poi quella del 1979. Le sette sorelle vacillano, mentre l’Occidente scopre che affidare il proprio fabbisogno energetico a una risorsa presente nei luoghi più instabili del pianeta non è una buona idea. Negli anni ’90, il pentito Gaetano Iannì, ex capomafia, rivela che il misterioso sabotatore dell’aereo di Mattei sarebbe Peppe Di Cristina, all’epoca criminale potentissimo, dietro incarico di Cosa Nostra. Anche il boss Tommaso Buscetta conferma e ricostruisce le ultime ore di Mattei in maniera ben dettagliata e credibile. Stando alla sua versione, la richiesta sarebbe provenuta dalle famiglie mafiose di Philadelfia, con cui Cosa Nostra voleva stringere di nuovo i rapporti. Nel 1995 il sostituto procuratore Vincenzo Calia apre nuove indagini sul delitto Mattei, dopo aver scoperto che le prime erano state fatte a dir poco male. Trova nella sede dei servizi segreti due note, scritte a mano: dicono che il fondatore della P2 è stato un certo Eugenio Cefis, il quale avrebbe poi passato il comando a Licio Gelli quando le cose già stavano andando male. Di recente il senatore Marcello Dell’Utri è stato interrogato in merito al famigerato “appunto 21” del libro di Pasolini. Perché sembra sia uno dei pochi ad averlo letto.

Nel 1909, nel libro The meaning of truth, William James scrisse che il più grande nemico di qualsiasi nostra verità è il resto, della nostra verità. Probabilmente non sapremo mai cos’è successo davvero. Erano gli anni di piombo, in cui poteri immensi avevano scelto di combattersi sul nostro territorio. C’erano petrolieri, CIA, KGB, SISDE, SISMI, Gladio nera, Gladio rossa, israeliani, palestinesi, ex fascisti, ex partigiani, massoni, anarchici, politici comprati, preti. Districare quella matassa, o cercarvi una logica, è difficile. E spesso ha un risultato parziale. Mattei oggi è ricordato dall’Eni con affetto, rispetto e nostalgia. Quel gattino è diventato una tigre capace di cavarsela dove gli eredi delle sette sorelle annaspano. E tutto perché l’Eni ha messo in pratica quello che Mattei aveva insegnato: che i contratti capestro creano solo nemici.

O terroristi.

 

 

fonte: https://thevision.com/cultura/enrico-mattei-eni/

In ricordo di Antonio Gramsci, morto il 27 aprile del 1937: “Ecco cos’è il fascismo” – Il suo grande discorso che spiegava presente e futuro…

 

Antonio Gramsci

 

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In ricordo di Antonio Gramsci, morto il 27 aprile del 1937: “Ecco cos’è il fascismo” – Il suo grande discorso che spiegava presente e futuro…

La grande eredità politica di Antonio Gramsci: il suo discorso alla Camera sulla “rivoluzione” fascista, vista come sostituzione di un personale amministrativo ad un altro personale.

di Antonio Gramsci (16 maggio 1925)

Il problema è questo: la situazione del capitalismo in Italia si è rafforzata o si è indebolita dopo la guerra, col fenomeno fascista? Quali erano le debolezze della borghesia capitalistica italiana prima della guerra, debolezze che hanno portato alla creazione di quel determinato sistema politico-massonico che esisteva in Italia, che ha avuto il suo massimo sviluppo nel giolittismo?
Le debolezze massime della vita nazionale italiana erano in primo luogo la mancanza di materie prime, cioè la impossibilità per la borghesia di creare in Italia una sua radice profonda nel paese e che potesse progressivamente svilupparsi, assorbendo la mano d’opera esuberante. In secondo luogo la mancanza di colonie legate alla madre patria, quindi la impossibilità per la borghesia di creare una aristocrazia operaia che permanentemente potesse essere alleata della borghesia stessa. Terzo, la questione meridionale, cioè la questione dei contadini, legata strettamente al problema della emigrazione, che è la prova della incapacità della borghesia italiana di mantenere…[Interruzioni].
Il significato dell’emigrazione in massa dei lavoratori è questo: il sistema capitalistico, che è il sistema predominante, non è in grado di dare il vitto, l’alloggio e i vestiti alla popolazione, e una parte non piccola di questa popolazione è costretta ad emigrare… Noi abbiamo una nostra concezione dell’imperialismo e del fenomeno coloniale, secondo la quale essi sono prima di tutto una esportazione di capitale finanziario. Finora l’imperialismo italiano è consistito solo in questo: che l’operaio italiano emigrato lavora per il profitto dei capitalisti degli altri paesi, cioè finora l’Italia è solo stata un mezzo dell’espansione del capitale finanziario non italiano.
Voi vi sciacquate sempre la bocca con le affermazioni puerili di una pretesa superiorità demografica dell’Italia sugli altri paesi; voi dite sempre, per esempio, che l’Italia demograficamente è superiore alla Francia. È una questione questa che solo le statistiche possono risolvere perentoriamente ed io qualche volta mi occupo di statistiche; ora una statistica pubblicata nel dopoguerra, mai smentita, e che non può essere smentita, afferma che l’Italia di prima della guerra, dal punto di vista demografico, si trovava già nella stessa situazione della Francia dopo la guerra; ciò è determinato dal fatto che l’emigrazione allontana dal territorio nazionale una tal massa di popolazione maschile produttivamente attiva, che i rapporti demografici diventano catastrofici.
Nel territorio nazionale rimangono vecchi, donne, bambini, invalidi, cioè la parte di popolazione passiva che grava sulla popolazione lavoratrice in una misura superiore a qualsiasi altro paese, anche alla Francia. È questa la debolezza fondamentale del sistema capitalistico italiano, per cui il capitalismo italiano è destinato a scomparire tanto più rapidamente quanto più il sistema capitalistico mondiale non funziona più per assorbire l’emigrazione italiana, per sfruttare il lavoro italiano, che il capitalismo nostrale è impotente a inquadrare.
I partiti borghesi, la massoneria, come hanno cercato di risolvere questi problemi? Conosciamo nella storia italiana degli ultimi tempi due piani politici della borghesia per risolvere la questione del governo del popolo italiano. Abbiamo avuto la pratica giolittiana, il collaborazionismo del socialismo italiano con il giolittismo, cioè il tentativo di stabilire una alleanza della borghesia industriale con una certa aristocrazia operaia settentrionale per opprimere, per soggiogare a questa formazione borghese-proletaria la massa dei contadini italiani specialmente nel Mezzogiorno. Il programma non ha avuto successo.
Nell’Italia settentrionale si costituisce difatti una coalizione borghese-proletaria attraverso la collaborazione parlamentare e la politica dei lavori pubblici alle cooperative: nell’Italia meridionale si corrompe il ceto dirigente e si domina la massa coi mazzieri… [Interruzione del deputato Greco]
Voi fascisti siete stati i maggiori artefici del fallimento di questo piano politico, poiché avete livellato nella stessa miseria l’aristocrazia operaia e i contadini poveri di tutta l’Italia. Abbiamo avuto il programma che possiamo dire del Corriere della Sera, giornale che rappresenta una forza non indifferente nella politica nazionale: ottocentomila lettori sono anch’essi un partito. [Voci “Meno…”. Mussolini “La metà! E poi i lettori dei giornali non contano. Non hanno mai fatto una rivoluzione. I lettori dei giornali hanno regolarmente torto!]
Il Corriere della Sera non vuole fare la rivoluzione.
[Farinacci: Neanche l’Unità!]. Il Corriere della Sera ha sostenuto sistematicamente tutti gli uomini politici del Mezzogiorno, da Salandra ad Orlando, a Nitti, ad Amendola; di fronte alla soluzione giolittiana, oppressiva non solo di classi, ma addirittura di interi territori, come il Mezzogiorno e le isole, e perciò altrettanto pericolosa che l’attuale fascismo per la stessa unità materiale dello Stato italiano, il Corriere della Sera ha sostenuto sempre un’alleanza tra gli industriali del Nord e una certa vaga democrazia rurale prevalentemente meridionale sul terreno del libero scambio. L’una e l’altra soluzione tendevano essenzialmente a dare allo Stato italiano una più larga base di quella originaria, tendevano a sviluppare le “conquiste” del Risorgimento.
Che cosa oppongono i fascisti a queste soluzioni? Essi oppongono oggi la legge cosiddetta contro la massoneria; essi dicono di volere così conquistare lo Stato. In realtà il fascismo lotta contro la sola forza organizzata efficientemente che la borghesia capitalistica avesse in Italia, per soppiantarla nella occupazione dei posti che lo Stato dà ai suoi funzionari. La “rivoluzione” fascista è solo la sostituzione di un personale amministrativo ad un altro personale”.

Leo Gullotta: “Vogliono imporci un nemico a tutti i costi. Prima era il terrone, poi l’emigrato o l’omosessuale”

 

Leo Gullotta

 

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Leo Gullotta: “Vogliono imporci un nemico a tutti i costi. Prima era il terrone, poi l’emigrato o l’omosessuale”

L’attore su Radio2 critica Matteo Salvini: “Imbarazzante vedere in alcuni tg un politico che si fa i selfie a casa propria o nel proprio ministero”

“Vogliono imporci un nemico a tutti i costi. Prima era il terrone, poi l’emigrato, o l’omosessuale”. Leo Gullotta rompe il silenzio e torna a parlare ai microfoni di Rai Radio 2, ospite della trasmissione I Lunatici. Il comico analizza la società italiana odierna, a partire dai giovani, in cui “c’è stato un abbandono per alcuni temi, a cominciare dalla scuola. I ragazzi, i giovani, sono stati schiaffeggiati. Qui ogni Governo che arriva da trent’anni a questa parte taglia su scuola, università e cultura. Ai giovani dico sempre che bisogna saper amare e conquistare la vita”.

L’attore prosegue parlando della criminalità organizzata:

“Le parole mafia, camorra, criminalità organizzata, bisogna dirle. I temi sociali sono entrati nella testa di molti giovani, non c’è più una presenza omertosa, anzi in tanti si battono, si impegnano per far vedere cosa c’è che non va. Speriamo che si possa sempre di più proseguire”.

Non solo parole per i giovani e la mafia, Gullotta dice la sua anche sull’immagine della politica nella televisione odierna in cui

“c’è questo assalto della politica alle televisioni. È imbarazzante vedere alcuni telegiornali dove un politico si fa i selfie a casa propria o nel proprio ministero”.

Dalla politica alla televisione, Gullotta esclude un ritorno in televisione del Bagaglino:

“Oggi il Bagaglino non avrebbe più senso, è stato fatto per 20 anni, quella politica che si rappresentava in televisione poi si è trasformata in ciò che abbiamo oggi nella realtà”

Gullotta torna a parlare anche di omosessualità, secondo il comico

“non c’è niente di cui doversi vergognare, non c’è niente di malato. Quando leggo di genitori che disconoscono i figli, penso che questa sia pura ignoranza. Magari si hanno come vicini di casa dei mafiosi, dei delinquenti, dei truffatori, di loro non ci si vergogna” e sulla situazione politica aggiunge “hanno voluto creare da qualche anno il nemico a tutti i costi. Prima era il terrone, poi l’emigrato, poi l’omosessuale. C’è questo racconto politico che fa scoppiare nell’ignoranza la violenza e l’omofobia”.

 

 

fonte:

Huffington Post

https://www.huffingtonpost.it/2019/02/21/leo-gullotta-e-imbarazzante-vedere-in-alcuni-telegiornali-un-politico-che-si-fa-i-selfie-a-casa-propria-o-nel-proprio-ministero_a_23674725/?ncid=fcbklnkithpmg00000001&ref=fbph&fbclid=IwAR0VAcAtHAZNhJL3Qy3aeNGfn0AISDghwqq5nJZyUC4nSNelz7pvWplc7vM

Non dimentichiamo quello che diceva Camilleri sul 25 aprile: Salvini è un ignorante con mentalità fascista – Il fascismo, che in Italia si è manifestato come dittatura, è un virus mutante. Può anche non essere una dittatura, ma essere una mentalità…

 

Camilleri

 

 

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Non dimentichiamo quello che diceva Camilleri sul 25 aprile: Salvini è un ignorante con mentalità fascista – Il fascismo, che in Italia si è manifestato come dittatura, è un virus mutante. Può anche non essere una dittatura, ma essere una mentalità…

 

Camilleri: “Il 25 aprile una rissa? Salvini è un ignorante con mentalità fascista. Montalbano si dimetterebbe”

Sono trascorsi 74 anni dal 25 aprile 1945. Andrea Camilleri, scrittore, sceneggiatore e regista, noto nel mondo per la saga letteraria del commissario Montalbano che è considerata una pietra miliare della letteratura italiana e mondiale, ricorda quel giorno in una lunga intervista di Giuseppe Rolli per Servizio Pubblico, da cui pubblichiamo questa anticipazione:

“Il 25 aprile del 1945 mi trovavo nella mia terra, in Sicilia. Conoscevo la libertà già dal 1943, quando gli americani sbarcarono in Sicilia nella notte fra il 9 e il 10 luglio. Ma in quei giorni stavo incollato alla radio nella mia stanza a sentire le notizie su ciò che avveniva in Italia e nel mondo, perché capivo che nel giorno della liberazione anche il resto dei miei compatrioti avrebbero goduto di quel momento irraccontabile, in cui senti cadere dei lacci e dei bavagli che fino a quel momento ti hanno imprigionato. Ho condiviso quel giorno attraverso l’udito, ascoltando tutte le notizie possibili sulla liberazione”.

Camilleri racconta poi il clima che segnò il periodo successivo alla liberazione dell’Italia dalle truppe nazifasciste e la transizione verso la democrazia:

 “C’era una voglia di rifare l’Italia che faceva sognare. Anche le prime divisioni politiche, che erano forti, non potevano prescindere dal comune ideale di sgombrare le macerie e rifare un Paese nuovo”.

Oggi, mentre in tutta Europa l’emergere di nuovi sovranismi che riportano a galla i fantasmi del nazionalismo e del nazismo, paradossalmente sono sempre più coloro che invitano a non cedere all’allarmismo ogni qualvolta si riporta al centro del dibattito pubblico il pericolo di una deriva fascista:

“Io ho conosciuto il fascismo fino a 18 anni e oggi sono preoccupato” spiega Camilleri “perché sento spesso in televisione eminenti giornalisti o pseudostorici che dicono: ‘state abusando della parola fascismo perché oggi non c’è una dittatura’. Ma il fascismo, che in Italia si è manifestato sotto forma di una dittatura, è un virus mutante. Può anche non essere una dittatura, ma essere una mentalità. Non posso trattenermi dal dire che con il governo di oggi abbiamo un esempio lampante di mentalità fascista, quella del ministro Matteo Salvini. Quella è mentalità fascista., una delle forme di fascismo che può anche essere eletta democraticamente. Oggi Molti italiani rimpiangono il fascismo e si sono dimenticati in virtù della loro scarsa memoria che già prima del 1938 (data in cui vennero promulgate le leggi razziali, ndr) c’erano stati il bavaglio alla stampa, la censura sui libri da leggere, l’impossibilità di esprimere un parare personale, l’identificazione totale col capo, l’assassinio Matteotti, la morte di Gramsci, gli esili a Ventotene, gli arresti. L’italiano, e lo dico per i miei fratelli, ha memoria solo per due cose: Sanremo e la formazione di calcio della Juventus del 1930. Per il resto ha una labilità di memoria che fa spavento”.

Poi l’affondo sulle dichiarazioni del ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che ha definito il 25 aprile “un derby fra fascisti e comunisti”:

“La nostra Costituzione è ispirata a ciò che venne a significare il 25 aprile: non fu una ‘rissa’ tra comunisti e fascisti come dice Salvini.C’erano le brigate Garibaldi comuniste, ma anche i partigiani monarchici e quelli democristiani. Dio mio, lì c’era l’Italia e tu la riduci a una rissa?  Io a 93 anni mi sento fremere di rabbia perché dicendo una frase così questo ignorante di Salvini offende i caduti di tutte e due le parti, perché i fascisti che andavano a morire giovani credevano in un ideale sbagliato, orrendo, ma ci credevano, così come i comunisti, i monarchici e i democristiani. Salvini non sa neanche il senso della parola ideale”.

Lo scrittore affronta anche il tema del linguaggio della politica, sempre più spesso degradato a insulto nei confronti dell’avversario:

“Il problema è il linguaggio. Oggi, così come è decaduta buona parte della nostra coscienza di uomini è decaduto anche il linguaggio. Bisogna cercare di ascoltare le ragioni degli altri e dopo reagire, in un senso o nell’altro. Ma se tu hai paura non discuti nemmeno con gli altri: spari, reagisci. Perché pensi che l’altro sia venuto per farti del male e allora pensi: ‘prima che me lo faccia lui lo faccio io’, ma è un modo di pensare da homo homini lupus. Come si fa a dire che uno difende le coste italiane da 77 individui, 12 bambini, 14 donne e uomini più morti che vivi per quello che hanno patito? Non si ha il senso del ridicolo?”

La chiusura è dedicata al personaggio più noto uscito dalla sua penna, il commissario Montalbano:

“Quando ci fu il G8 a Genova Montalbano meditò, nel romanzo ‘Giro di boa’, di dimettersi dalla polizia. Oggi come oggi, a limiti di età raggiunti, si dimetterebbe con molto dolore ma credo che non potrebbe convivere. Non ha fatto il partigiano, ma credo che una tessera dell’ANPI, che io mi onoro di avere, gliela si potrebbe dare”.

Fonte:

www.michelesantoro.it

https://www.michelesantoro.it/2019/04/camilleri-25-aprile-salvini-fascismo/

 

 

Le 10 fake news oggi tanto diffuse sul fascismo a cui solo chi è idiota, ignorante o in mala fede può credere…

 

fascismo

 

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Le 10 fake news oggi tanto diffuse sul fascismo a cui solo chi è idiota, ignorante o in mala fede può credere…

 

10 fake news oggi diffuse sul fascismo. Viva il 25 aprile

Per colpa di Salvini, ma anche di altri che non si dichiarano salviniani, in Italia si sta sdoganando il fascismo. Uno dei mezzi di questa operazione è propalare fakenews, di cui la più scontata e banale è: “Mussolini ha anche fatto cose buone”.

Altre però sono più insidiose, anche perché spesso non vengono solo usate dai fascisti, ma anche da chi si dichiara antifascista, ma poi usa l’antifascismo solo per sostenere gli interessi delle élites del potere. Così tanti contribuiscono a diffondere la prima fakenews sul fascismo: che esso sia contro il potere ed il sistema.

Vediamo alcune di queste falsità.

1) Mussolini ed il fascismo sono andati al potere con il consenso elettorale della maggioranza degli italiani.

FALSO. Nelle elezioni del 1921 i fascisti ottennero 37 deputati su 535, presentandosi assieme ai liberali conservatori in una lista guidata da Giolitti, che complessivamente ottenne il 19% dei voti. Questa era la forza elettorale e parlamentare di Mussolini, quando il re Vittorio Emanuele III il 28 ottobre 1922 lo incaricò di formare il governo.

I fascisti dopo inaudite violenze e assassini contro il movimento operaio e i democratici, organizzarono la Marcia su Roma con la copertura di gran parte dell’apparato dello stato. L’esercito poteva disperderli, ma il GOLPE del re diede avvio alla dittatura. Va ricordato che anche Hitler non ottenne mai la maggioranza da libere elezioni , quando nel gennaio del 1933 il presidente tedesco Hindemburg lo nominò capo del governo aveva il 32%.

È vero che i fascisti han conquistato il potere con il consenso, ma quello delle classi dominanti, degli apparati dello stato, dei ricchi e dei poteri costituiti, che li hanno sostenuti e usati; e hanno permesso loro di instaurare la dittatura. Infatti il 25 luglio del 1943 quando il re, causa la guerra persa, destituì e fece arrestare Mussolini, il fascismo si sciolse come neve al sole..e ritornò solo come servo dell’occupazione militare tedesca.

2) Mussolini era contro il liberismo economico e per una sorta di socialismo nazionale.

FALSO. Queste le parole dello stesso Mussolini nel suo primo intervento alla Camera nel 1921:
Lo Stato ci dia una polizia, che salvi i galantuomini dai furfanti, una giustizia bene organizzata, un esercito pronto per tutte le eventualità, una politica estera intonata alle necessità nazionali. Tutto il resto, e non escludo nemmeno la scuola secondaria, deve rientrare nell’attività privata dell’individuo. Se voi volete salvare lo Stato, dovete abolire lo Stato collettivista, così come c’è stato trasmesso per necessità di cose dalla guerra, e ritornare allo Stato manchesteriano.

Questo ultraliberismo, che oggi è il programma del fascista brasiliano Bolsonaro, non furono solo parole, ma la politica economica reale del fascismo fino alla grande crisi del 29. Solo dopo quella crisi devastante Mussolini fu costretto, come quasi tutti gli stati del mondo, all’intervento pubblico per impedire il collasso dell’economia. Ma il fascismo si affermò come violenta dittatura liberista, per il privato ed il mercato.

3) Il fascismo oggi sarebbe contro l’Euro e la moneta unica ed i sacrifici che essa comporta.

FALSO. Mussolini volle per pure ragioni di potenza la parità fissa della lira con la sterlina, la cosiddetta “quota 90”, cioè un cambio fisso di novanta lire per una sterlina, Questa rinuncia ad ogni manovra sulla moneta, anzi sopravvalutando quella italiana, produsse danni enormi al sistema industriale e una terribile politica di austerità , culminata nella riduzione dei salari.

“Quota 90” era insomma una sorta di anticipazione dell’Euro. Le motivazioni del fascismo erano quella di stare monetariamente alla pari con la superpotenza di allora, la Gran Bretagna. Le motivazioni dell’Euro sono apparentemente diverse, ma hanno sempre alla base una scelta di potenza, stare alla pari della Germania e dall’Europa che più conta. In ogni caso al di là di ogni motivazione, gli effetti di Quota 90 sulla economia italiana furono disastrosi.

4) Il fascismo stava dalla parte degli operai.

FALSO. Il fascismo andò al potere organizzando il crumiraggio contro gli scioperi, bastonando ed uccidendo lavoratori e sindacalisti, bruciando le Camere del Lavoro. Dopo il 1925 sciolse i sindacati indipendenti e obbligò i lavoratori ad iscriversi ad un solo sindacato, quello corporativo fascista del quale facevano parte anche i padroni. Il fascismo imponeva la collaborazione di classe nel nome dell’impresa e dello stato e con il codice penale Rocco comminava anni di carcere per lo sciopero e per ogni forma di protesta del lavoro. La lotta di classe era il male da estirpare per il fascismo, come lo è ancora oggi per la Confindustria e qualsiasi multinazionale.

Alla fine degli anni venti il fascismo impose la RIDUZIONE DEI SALARI dal 10 al al 20%. Sotto il fascismo nelle fabbriche fu introdotto il cottimo Bedaux, il capostipite dei sistemi di sfruttamento taylorista, con la galera per chi protestava.

È vero che il fascismo organizzò dopolavoro, colonie estive, servizi per gli operai, ma come compensazione per il feroce sfruttamento a cui essi erano sottoposti, che produceva enormi profitti per i padroni, a partire da Gianni Agnelli, senatore del regno, che accolse in camicia nera Mussolini nel 1939. Lo accolse a Torino per inaugurare la fabbrica Mirafiori, e Mussolini parlò davanti a 50000 operai che lo accolsero in silenzio, senza applausi, senza grida di viva il Duce.

Per questo il dittatore fascista abbandonò furioso il palco. Non aveva sufficientemente tenuto conto di un rapporto dei servizi segreti del 1937 che diceva: “Nella massa lavoratrice si riscontra sempre un ambiente decisamente avverso alle istituzioni del regime”…

5) Il fascismo era una dittatura all’acqua di rose.

FALSO. Il fascismo colpiva ogni piccolo dissenso e reprimeva ogni opposizione e resistenza. Era un regime poliziesco di massa che cominciava con la delazione anche per una sola battuta sul regime. Si veniva allora convocati dalla locale Casa del Fascio e sottoposti a intimidazioni, olio di ricino, bastonature. Chi lavorava poteva essere licenziato per inosservanza delle disposizioni del regime, come indossare la camicia nera il 28 ottobre.

Poi c’era il sistema poliziesco di stato che culminava nell’OVRA, la polizia politica che se necessario si trasformava in organizzazione terrorista per uccidere gli oppositori, e nel Tribunale Speciale. Questo organismo istituito nel 1927, instaurò migliaia di processi contro gli antifascisti, condannandone più di 4500 a enormi pene detentive, tra essi Antonio Gramsci e Sandro Pertini, e diverse decine alla pena di morte che il fascismo aveva reintrodotto. Il primo ucciso dal Tribunale fascista fu un muratore comunista.

6) Il fascismo non era razzista ed antisemita, lo divenne solo dopo l’alleanza con Hitler.

FALSO. il fascismo è sempre stato dichiaratamente razzista, verso gli slavi, contro i quali iniziò in Venezia Giulia e Istria una feroce pulizia etnica, e naturalmente verso gli africani. La canzone fascista Faccetta Nera, che celebrava la guerra di aggressione all’Etiopia, fu proibita dal regime perché accusata di favorire la commistione delle razze. Per il fascismo PRIMA GLI ITALIANI era la base fondante di ogni discriminazione razziale.

Le leggi razziali contro gli ebrei varate nel 1938 furono rivendicate dal fascismo come realizzazione dello spirito originario del partito. Mussolini dichiarò che il fascismo era antisemita fin dalla sua fondazione nel 1919.

7) Il fascismo era patriottico.

FALSO. Il fascismo era un regime aggressivo che usava il patriottismo per coprire i propri interessi e il proprio potere. Dalla metà degli anni 30 il fascismo iniziò una politica di guerra e aggressioni militari, Etiopia, Spagna, Albania, che culminò nella partecipazione al fianco di Hitler alla seconda guerra mondiale.

Il patriottismo copriva la guerra e la guerra serviva per affari, potere e consenso. E la guerra subordinava il fascismo alla potenza straniera.

Che la guerra e le servitù della guerra per il fascismo venissero prima della Patria lo dimostra la cosiddetta Repubblica Sociale, lo stato fantoccio che i nazisti imposero con l’occupazione militare dell’Italia centro settentrionale, dal 1943 al 1945. I fascisti, scomparsi, dopo il 25 luglio, ricomparvero come collaborazionisti con l’invasore.

Non erano patrioti, ma scherani della Germania, a cui Mussolini aveva venduto il paese, compresa la cessione di Trento e Trieste. Quando fu catturato dai partigiani Mussolini era travestito da soldato tedesco e stava fuggendo in Svizzera per consegnarsi agli Americani. Il fascismo è sempre stato servo di potenze estere. Matteotti fu ucciso perché stava per svelare i finanziamenti esteri del fascismo.

8) Il fascismo era duro, ma onesto.

FALSO. Il fascismo era un regime ad altissimo tasso di corruzione. I gerarchi fascisti erano i titolari, in ogni territorio o area di influenza, di affari, mazzette, tangenti. Un gigantesco flusso di danaro arricchiva la gerarchia fascista. Tutti i capi fascisti, nessuno escluso, si arricchirono enormemente durante il ventennio.

I capi fascisti erano quasi tutti poveri spiantati nel 1920 e tutti straricchi nel 1940. Si può anzi dire che il fascismo fu il primo regime in Italia ad organizzare scientificamente la corruzione politica. Ci si iscriveva al partito anche con la speranza di diventare ricchi. Questa corruzione alimentava le ruberie ai danni dello stato dei fornitori privati, che giunsero anche a colpire le truppe italiane in guerra.

Ad esempio i soldati mandati a combattere contro l’Unione Sovietica con scarpe di cartone per le ruberie dei fornitori e le mazzette ai fascisti. Lo stesso Prefetto Mori, il feroce prefetto di ferro mandato nel 1920 in Sicilia per combattere la mafia, fu destituito dal fascismo quando cominciò ad indagare sui legami tra cosche mafiose e gerarchi fascisti locali.

Il fascismo fu un regime di ladrocinio organizzato, perché sulla corruzione si fondavano il potere e il consenso. E Mussolini era il vertice ed il garante di questo regime. Se allora ci fosse stata una magistratura indipendente, il fascismo sarebbe stato travolto dalla TANGENTOPOLI NERA. Tutto questo oggi è ampiamente documentato.

9) I partigiani ed i fascisti in fondo avevano, pur da parti opposte, lo stesso amor di Patria.

FALSO. Questa è la mistificazione della memoria storica condivisa, della pacificazione ideale inventata da esponenti del PD più di venti anni fa e che oggi viene usata da ogni revisionismo storico. Fino a quello cialtrone di Salvini che parla di derby tra fascisti ed antifascisti.

Prima del 1943 chi resisteva al fascismo doveva operare in clandestinità a prezzi altissimi.
Dopo l’8 settembre 1943, quando i tedeschi occuparono l’Italia centro settentrionale, essere antifascisti significava combattere l’ occupazione militare nazista e il collaborazionismo fascista.

Le due parti non erano eguali. Chi sceglieva la Resistenza rischiava tutto, per sé e per i familiari, doveva vivere sui monti o nelle cantine delle città. Chi stava coi nazisti era al caldo, protetto e al sicuro. Tanti pur non essendo fascisti decisero di aspettare, di non rischiare, i partigiani scelsero di opporsi. I partigiani facevano la guerra agli occupanti ed ai loro servi, i fascisti collaboravano alle stragi per rappresaglia verso la popolazione civile.

Certo potevano esserci un partigiano manigoldo ed un fascista onesto, ma comunque il primo lottava contro i criminali di Auschvitz, il secondo stava con loro. Antifascismo e fascismo non sono solo una contrapposizione politica, ma un insanabile contrasto morale. Il fascismo non è una semplice idea politica sbagliata, è un crimine materiale e morale.

La Resistenza e stata la sola vera rivoluzione popolare italiana, il momento nel quale il popolo italiano è insorto in massa contro il potere, il momento nel quale il popolo ha fatto giustizia della tirannia e ha conquistato la democrazia con le proprie mani.

10) Non ha più senso oggi di parlare di fascismo e antifascismo.

FALSO. Anche se una certa retorica antifascista è servita a coprire le malefatte del potere, i valori autentici dell’antifascismo ed il rifiuto delle basi di fondo del fascismo sono sempre attuali.
Dal 1945 ad oggi in Italia il neofascismo si è periodicamente affacciato sulla scena politica. Come strumento di ricatto verso la DC se avesse voluto spostarsi troppo verso il PCI. Come terreno di coltura della strategia della tensione e delle bombe contro le lotte degli anni 70. Come ideologia dell’ordine, dell’autoritarismo e della sopraffazione.

Siccome il fascismo in quanto tale è ancora screditato, il neofascismo oggi si veste diversamente, non indossa la camicia nera. Anche il potere lo aiuta attribuendo a questo neofascismo altri nomi, più neutri ed accattivanti, come sovranismo e populismo. In questo modo il potere ottiene due risultati: non chiama i fascisti con il loro nome nobilitandoli nella eventualità di servirsene, attribuisce ad ogni opposizione alle ingiustizie sociali un carattere reazionario ed eversivo.

Per questo è giusto squarciare il mascheramento fascista ed usare questo termine per chiunque oggi innalzi il vessillo reazionario intitolato a DIO PATRIA FAMIGLIA. I fascisti si offendono se dai loro dei fascisti, ma poi in ogni loro parola riaffermano l’ideologia fascista. Non sono razzista ma.. non sono fascista ma.. Ecco, ciò che viene dopo quei ma è moderno fascismo e non bisogna avere paura di chiamarlo come tale, se lo si vuole ancora una volta sconfiggere.

ORA E SEMPRE RESISTENZA VIVA IL 25 APRILE

 

tratto da:

Contropiano

http://contropiano.org/news/politica-news/2019/04/25/10-fake-news-oggi-diffuse-sul-fascismo-viva-il-25-aprile-0114823?fbclid=IwAR0aGhEVbrxQp2dO87KHMmX6RdmS9hY46vBRXNRy2h8QqaVExKf-pA-ks9Y

20 aprile 1945 – Veviva assassinato dai nazifascisti, dopo essere stato deportato e torturato, un Eroe della Resistenza che pochi ricordano: Eugenio Pertini, il fratello di Sandro…

 

Eugenio Pertini

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Tratto dalla da: Memory

20 aprile 1945 – Veviva assassinato dai nazifascisti, dopo essere stato deportato e torturato, un Eroe della Resistenza che pochi ricordano: Eugenio Pertini, il fratello di Sandro…

20 aprile 1945: Il partigiano Eugenio Pertini, fratello di Sandro Pertini, dopo essere stato deportato nel lager di Flossenbürg, viene torturato e assassinato dai nazisti

Nato a Stella (Savona) il 19 ottobre 1894, ucciso nel lager di Flossenbürg il 20 aprile 1945.

Fratello del futuro Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini.  Eugenio fu colto a Genova (dove, vedovo, abitava con la figlia Diomira di 10 anni), dagli eventi del settembre 1943.

Già di forti sentimenti antifascisti, fino ad allora non si era attivamente impegnato politicamente.

Lo fece quando, nell’inverno, si diffuse la voce che il fratello Sandro era stato fucilato a Regina Coeli dai tedeschi. L’impegno di Eugenio nella Resistenza non durò molto. Nell’aprile del 1944, mentre si trovava con la figlia in un ristorante genovese, fu arrestato dai fascisti e portato alla “Casa dello Studente”. Resistette agli interrogatori sotto tortura e, dopo qualche giorno, fu trasferito nel campo di Fossoli (MO).

Seguì la deportazione nel campo di Bolzano e, il 5 settembre 1944, la partenza per il lager di Flossenbürg. Qui Eugenio morì poco prima che i deportati fossero liberati dagli Alleati.Secondo il racconto dei superstiti – riferito nell’Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza – “le SS si accingevano ad evacuare il campo per sfuggire alla morsa incombente delle avanguardie alleate.

Eugenio Pertini fu incolonnato con altri prigionieri. Claudicante, stremato dalle fatiche e dalle privazioni, non resse alla marcia. Più di una volta cadde e i compagni lo aiutarono a rialzarsi. Notato dalle SS, fu finito a colpi di fucile”.

Portano il nome di Eugenio Pertini una via a Zimella (VR), Istituti scolastici e Circoli culturali a Verona, Varazze (SV), Trapani, Roma.

Fonte: QUI

Ha ragione Giorgia Meloni, il 25 aprile è una festa divisiva: divide NOI da quelli che ritengono ammissibile bruciare gli ebrei nei forni, cacciare a calci in culo chi ci chiede aiuto, far sparire e ammazzare gli oppositori politici, sopprimere ogni libertà di stampa e di pensiero…

 

 

25 aprile

 

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Ha ragione Giorgia Meloni, il 25 aprile è una festa divisiva: divide NOI da quelli che ritengono ammissibile bruciare gli ebrei nei forni, cacciare a calci in culo chi ci chiede aiuto, far sparire e ammazzare gli oppositori politici, sopprimere ogni libertà di stampa e di pensiero…

25 aprile, festa “divisiva”. Giorgia Meloni si esprime così a proposito della Liberazione, quando a ridosso del 4 novembre, ricorrenza della vittoria nella Prima guerra mondiale, propone questa data per sostituire la prima.

A Verona, il consigliere Bacciga ha presentato una mozione sul 25 aprile, considerata festa “unilaterale e divisiva”. Benché il contributo del Comune sia modesto (5mila euro), il consigliere ha chiesto che venisse destinato a convegni storici per analizzare in modo “imparziale” la “guerra civile” di quel periodo, e gli “eccidi avvenuti”.

E poi abbiamo un governo con un Presidente del consiglio che parteciperà senza grossi proclami alle celebrazioni e due vicepremier impegnati in una specie di remake della serie “La strana coppia”. Per il 25 aprile Salvini, così come i ministri leghisti, non parteciperà alle celebrazioni, non intende partecipare a “derby tra fascisti e comunisti”, mentre Di Maio se ne esce con un: “Le feste si celebrano” come se dovessimo festeggiare carnevale o fare una gita a pasquetta.

In tutto questo noi stiamo con Giorgia Meloni – Ha ragione, il 25 aprile è una festa divisiva: divide noi da quelli che ritengono ammissibile bruciare gli ebrei nei forni, cacciare a calci in culo chi ci chiede aiuto, far sparire e ammazzare gli oppositori politici, sopprimere libertà di stampa e di pensiero e magari far crepare i nostri figli in un’assurda guerra…

By Eles

Ora ripetiamo tutti insieme: Il debito di Roma non è stato fatto dalla Raggi, ma dai suoi predecessori. Il governo vuole solo rinegoziare il tasso di interessi sul debito a favore dei cittadini, senza alcun costo per lo Stato. Il vero Salva-Roma lo fece Berlusconi, anche con i voti di Lega e Pd…

 

Salva-Roma

 

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Ora ripetiamo tutti insieme: Il debito di Roma non è stato fatto dalla Raggi, ma dai suoi predecessori. Il governo vuole solo rinegoziare il tasso di interessi sul debito a favore dei cittadini, senza alcun costo per lo Stato. Il vero Salva-Roma lo fece Berlusconi, anche con i voti di Lega e Pd…

 

Leggo Salvini dichiarare: “I debiti di Raggi non li pagano gli italiani” e rimango sbigottito. Non tanto per le menzogne che questo è capace di dire (3 in una sola frase), ma per l’idiozia di chi crede a quanto questo qui va dicendo…

Allora, ripetiamo tutti insieme:

  • Il debito di Roma non è stato fatto dalla Raggi, ma dai suoi predecessori.
  • Il governo vuole solo rinegoziare il tasso di interessi sul debito a favore dei cittadini, senza alcun costo per lo Stato.
  • Il vero Salva-Roma lo fece Berlusconi, anche con i voti di Lega e Pd…

Ma è proprio il caso di doverlo ricordare? Siamo davvero diventato così coglioni? Il debito di Roma non l’ha fatto la Raggi, c’era. C’era già. C’era da molto prima… Lo hanno creato i sindaci di centrodestra e centrosinistra che ora attaccano la Raggi…

E non esiste nessun Salva-Roma. Nessuno ha chiesto un centesimo allo Stato (checché ne dica Salvini…) la manovra caldeggiata dal Governo (Lega esclusa) è solo una manovra per rinegoziare il tasso di interessi sul debito della Capitale, il tutto a favore dei cittadini e senza alcun costo per lo Stato.

E, a proposito di Salva-Roma, ricordiamo che l’unico vero Salva-Roma lo ha fatto Berlusconi, quando a Roma vi era il sindaco fascista Alemanno (che sappiamo che fine ha fatto). Un regalo dello Stato Italiano a Roma, a spese dei contribuenti e votato anche dal centrosinistra, dalla Lega e dallo stesso Salvini (Leggi QUI)

Ovviamente questi concetti semplici semplici i Tg non li spiegano…

By Eles

 

 

 

 

25 aprile, Liliana Segre contro Matteo Salvini: “Chi fa politica non può ignorare la storia – Con ognuna di queste dichiarazioni chi ha dato la vita muore una volta di più”.

 

25 aprile

 

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25 aprile, Liliana Segre contro Matteo Salvini: “Chi fa politica non può ignorare la storia – Con ognuna di queste dichiarazioni chi ha dato la vita muore una volta di più”.

E’ il 25 aprile, la festa della liberazione dell’Italia dal nazifascismo. La ricorrenza sta animando da settimane una dura polemica soprattutto nella maggioranza di governo. Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha annunciato da tempo che domani non parteciperà a nessun evento di commemorazione, ma sarà a Corleone, in Sicilia, per “combattere la mafia”. La senatrice a vita Liliana Segre è intervenuta sulla questione in un’intervista pubblicata dal Corriere e a proposito delle dichiarazioni di Salvini sul 25 aprile, si è espressa duramente: “Chi fa politica non può ignorare la storia. Deve averla studiata. Con ognuna di queste dichiarazioni chi ha dato la vita muore una volta di più. Non penso solo ai partigiani – ha continuato la senatrice – ma anche ai militari italiani, morti di stenti, malattie, in un campo di concentramento, pur di non aderire alla Repubblica Sociale”.

Liliana Segre ha commentato anche l’incendio doloso, appiccato nella notte di domenica, alla statua dedicata a Giulia Lombardi, partigiana uccisa dai fascisti nel 1944: “Non possiamo sempre ridurre tutto all’ignoranza. È il bisogno di odiare che muove certa gente. Appena messo piede in Senato – ha continuato – mi sono battuta per una legge contro l’hate speech. L’odio torna a galla in contesti molto diversi. Per strada, su Internet soprattutto”. La senatrice ha raccontato di sentirsi “stanca”, e per questo trascorrerà questo 25 aprile a casa: “Mi hanno invitato in tv, ma ho davvero bisogno di staccare. Forse non ho più l’età per andare in corteo. Devo cominciare a delegare”.

In un intervento su Repubblica, Liliana Segre aveva ribadito l’importanza di conoscere la storia per “comprendere cosa è stato il depauperamento mentale di masse di italiani e tedeschi indottrinate dai totalitarismi fascista e nazista. Chi ignora il passato è più facilmente plasmabile. E non oppone resistenza – ha continuato la senatrice – Leggo con preoccupazione che alla festa della Liberazione si preferisca una cerimonia di altro genere. Rimango esterrefatta, ma non importa se qualche ministro resterà a casa. Sono sicura che domani saremo in tanti a provare la stessa emozione civile”.

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