In Venezuela il rischio della prima “guerra civile internazionale”

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In Venezuela il rischio della prima “guerra civile internazionale”

Lo scontro in Venezuela proposto al mondo nelle figure del legittimo ma autoritario governo di Maduro e l’autoproclamato presidente Guaidó dagli sponsor internazionali sospetti. Ma ciò che sta accadendo è molto altro.
-Parte della partita si gioca oltre i confini venezuelani, e si inserisce nelle guerre asimmetriche che attraversano il mondo, spiega Emiliano Teran Mantovani, sociologo dell’Università centrale del Venezuela sentito dal Manifesto a Barcellona.

Prima guerra civile internazionale

Troppe tifoserie anche giornalistiche attorno alla crisi venezuelana, da cui è difficile salvarsi in un minimo di oggettività. Maduro despota persino troppo facile con forzature quasi caricaturali, e contro, la guida politica della crisi del doppio presidente di espressione Usa segnata dalla grossolanità di Trump. Opposizione interna inconsistente e ora l’improvviso autoproclamato presidente alternativo, colpo di teatro con troppi pupi e pochi protagonisti credibili. Quindi ricerca di spunti, spesso frammenti tra tante verità possibili. Tipo l’allarme -questo molto più serio e temibile- per quella che sta configurandosi e potrebbe diventare «guerra civile internazionale»

Il sociologo e la situazione oggi

I fatti, letti dal sociologo dell’Università centrale del Venezuela Emiliano Teran Mantovani, sentito da Andrea Cegnas, del Manifesto a Barcellona. «Il livello di malcontento è il più alto mai raggiunto nei 20 anni di rivoluzione bolivariana, tanto che le proteste riguardano anche i quartieri popolari. Questo ne cambia il colore, perché, fino ad ora, le proteste avvenivano solo nei quartieri benestanti. Inoltre ora vi partecipano anche bande criminali, e ciò riflette la complessità della situazione». Sintesi massima: gigantesco malcontento sociale contro il governo Maduro; una repressione vista solo ai tempi della dittatura; una profonda crisi economica, forse senza precedenti in tutto il Latinoamerica; un’opposizione screditata e divisa guidata da gruppi di destra radicale, collegata al governo americano e ai peggiori governi continentali della destra.

Rischio ‘Stato parallelo’

«Si rischia la creazione di uno stato parallelo, accompagnato dal frazionamento delle forze armate, o dall’intervento militare straniero. Una sorta di guerra civile internazionale. Le conseguenze sarebbero irreparabili non solo per il Venezuela, ma per tutto il continente. Maduro pare non voglia cedere, potrebbe quindi esplodere la violenza e potrebbe essere deposto. Se questo dovesse accadere, andrebbe contro l’interesse del popolo e attraverso un processo di ristrutturazione economica neo-liberista e con un governo repressivo. Un dialogo potrebbe evitare il conflitto armato, ma dipende da quali settori si rendono disponibili per la trattativa».

Chi nelle piazze?

«Chi è per le strade oggi segue le convocazioni dei partiti politici. La maggioranza sta con le opposizioni, ma questo non significa che non vi siano rivendicazioni altre e che non ci sia distacco dai partiti. Prima del 21 gennaio, tante e frammentate proteste per chiedere servizi, accesso all’acqua, trasporti, sicurezza, diritti sul lavoro, terre e rispetto delle territorialità indigene. Questo il vero cuore sociale della protesta.
Le mobilitazioni governative sono state più discrete, e rappresentano una comunità politica molto fedele e unita. Il livello di malcontento è il più alto mai raggiunto nei 20 anni di rivoluzione bolivariana, tanto che le proteste riguardano anche i quartieri popolari. Questo ne cambia il colore, perché, fino ad ora, le proteste avvenivano solo nei quartieri benestanti. Inoltre ora vi partecipano anche bande criminali, e ciò riflette la complessità della situazione».

Come questa crisi economica?

Malattia antica, denuncia il docente, con tutte le infrastrutture del capitalismo venezuelano in frantumi, il crollo dell’industria petrolifera che si sommano «al collasso politico-istituzionale del paese, alla corruzione, al vandalismo e ad altri fattori. A questo occorre aggiungere che la corruzione, in tutte le sfere del paese, ha fatto sì che l’economia informale illegale fosse dominante nel paese. Le rivolte di estrema destra hanno accresciuto l’instabilità politica e commerciale del Venezuela. Gli Usa hanno attaccato il paese con sanzioni economiche che, almeno dal 2017, hanno indebolito la capacità venezuelana di acquisire nuova liquidità e crediti. L’embargo su 7000 milioni di dollari è una sentenza di morte per milioni di venezuelani. La Cina, e in maniera minore la Russia, hanno costretto il Venezuela alla dipendenza. Anche ci fosse un cambio di governo, ci saranno anni di conflitti prima della ricomposizione dei cocci della crisi».

Domanda finale, come se ne esce?

Prima della risposta certamente saggia dello studioso, la fotografia cinica del reale che si sta imponendo guidato passo passo dagli Stati uniti. «Si può negoziare solo l’uscita dalla dittatura, affinché avvenga in maniera democratica e ordinata», ha dichiarato Carlos Vecchio, l’incaricato d’affari nominato a Washington da Juan Guaidó. Rilancio di Emiliano Teran Mantovani: «Un referendum consultivo per rinnovare tutti i vari poteri politici. Il dialogo per evitare la guerra deve essere vigilato dall’Uruguay, dal Messico o dall’Onu, cioè da chi si è reso disponibile. Ciò che pare certo all’orizzonte è l’instaurazione di una governance repressiva neoliberista. A questo dovremmo pensare dopodomani, per capire come promuovere forme più solide di organizzazione popolare dove costruire autonomie e potere dal basso».

Guaidò a guida Usa sul NYT

«Tutti i venezuelani devono restare uniti e premere, fino alla rottura finale del regime», ha scritto Guaidó sul New York Times. Campagna promozionale. Più seria la convocazione da parte del Messico e dell’Uruguay di una conferenza internazionale a Montevideo, il 7 febbraio. «Più di dieci paesi e organismi internazionali schierati su una posizione di non intervento». In controtendenza il parlamento europeo che approva una risoluzione non vincolante che riconosce Juan Guaidó come presidente legittimo ad interim del Venezuela. Una misura contestata da più parti, soprattutto in Francia e in Italia. Qualche problema in casa per l’autoproclamato presidente Guaidò che ha visto una partecipazione decisamente ridotta alla manifestazione di mercoledì che avrebbe dovuto paralizzare Caracas. Ed ecco che torna il timore espresso dal sociologo Teran Mantovani di ‘analisi’ esterne irreali, col rischio di trascinare il Venezuela nel dramma di una «guerra civile internazionale».

 

tratto da:

https://ilmanifesto.it/in-venezuela-rischiamo-una-guerra-civile-internazionale/

In Venezuela il rischio della prima “guerra civile internazionale”ultima modifica: 2019-02-02T19:19:18+01:00da eles-1966
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