Quello che nessuno vi dice – le Pensioni baby: ci costano 9 miliardi l’anno !!! – …E nessuno muove un dito !!

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L’1% DELLA POPOLAZIONE COSTA 9 MLD L’ANNO. Oltre mezzo milione di persone sono quelle che godono delle cosiddette pensioni baby.

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È un po’ come la canzone dell’estate. Ogni anno in agosto, e a maggior ragione adesso con il governo che deve trovare almeno 20 miliardi per la manovra di autunno, si ritorna a parlare di pensioni baby.
Prima arrivano dall’esecutivo rumors su possibili tagli.
Poi, nonostante tutti plaudano a ipotesi simili, la cosa finisce nel dimenticatoio. E nulla cambia per un esercito molto più eterogeneo di quanto si possa pensare.
Gente che, in estrema sintesi, ha ricevuto un trattamento pensionistico più lungo di 16 anni rispetto agli altri italiani, ma nel contempo ha lavorato 16 anni di meno e versato contributi inferiori alla media. Il tutto a spese di Pantalone.
L’1% DELLA POPOLAZIONE COSTA 9 MLD L’ANNO. In Italia sono oltre mezzo milione di persone (531 mila stando a una rilevazione di Inps-Inpdap) quelle che godono delle cosiddette pensioni baby. Gli istituti previdenziali hanno calcolato che ogni anno questi trattamenti di quiescenza costano oltre 9 miliardi di euro allo Stato, mezzo punto di Pil. Assegni che non sono stati finanziati dai contributi versati da gente, che – nei casi migliori – ha lasciato il lavoro a poco più di 40 anni.
Confartigianato ha calcolato che, tra questi, 17 mila hanno smesso di lavorare a 35 anni di età, mentre altri 78 mila sono andati in pensione tra i 35 e 39 anni. Soprattutto la legge ha garantito un diritto acquisito che nessun governo potrà mai scalfire.
IL REGALO DI RUMOR NEGLI ANNI DELL’AUSTERITY. Nel dicembre del 1973 il governo Rumor instaurò due controverse pratiche, che la storia repubblicana si porta appresso fino ai giorni nostri: inaugurò i decreti omnibus di fine anno (allora si chiamavano sempre decreto del presidente della Repubblica) e garantì migliori condizioni di quiescenza di favore per una categoria a discapito delle altre. Nacquero con precisione il 29 dicembre 1973 le pensioni baby. Il governo del leader veneto stabilì che, nel pubblico impiego, potessero lasciare il lavoro le donne che avevano lavorato per 14 anni, sei mesi e un giorno, ma soltanto se sposate e con figli. Per gli altri l’esecutivo si mostrò più ‘duro’: 20 anni di lavoro per gli statali, 25 per i dipendenti degli enti locali. A quanto pare la misura fu ispirata dai sindacati, ma rientrava – dopo il golpe cileno – in una stagione che mise le basi al compromesso storico. Senza dimenticare che di lì a poco ci sarebbe stata una tornata amministrativa che la Dc di Rumor vinse a mani basse. Non a caso la norma fu votata da tutti, maggioranza e opposizione. E quasi nessuno protestò: anche perché la politica aveva ben altre emergenze da affrontare come l’austerity petrolifera o la recrudescenza del terrorismo rosso e nero.

IL PRIVILEGIO FU ABOLITO DAL GOVERNO AMATO NEL 1992

Ad abolire questo privilegio fu il governo Amato nell’anno ferale 1992 e con il decreto legislativo 503 del 30/12/1992 non a caso denominato “Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici”. Confartigianato ha calcolato che lo Stato ha bruciato circa 150 miliardi di euro per pagare questi assegni. Prima dell’introduzione dell’allargamento del retributivo (legge Brodolini del 1969) e delle pensioni baby il peso della previdenza del Pil era inferiore al 30%. Nel 1980 superò il 46, dando il là alla stagione del debito pubblico. Eppure il bilancio per lo Stato è stato drammatico non soltanto in termini economici. Innanzitutto la misura, con la scusa che le madri lavoratrici dovevano occuparsi della crescita dei figli, acuì la scarsa presenza femminile nel mondo del lavoro, che è ancora uno dei maggiori limiti alla produttività in Italia. Sancì la sperequazione tra i diritti del pubblico impiego e quelli del settore privato. Autorizzò una Casta di privilegiati a sommare a una pensione non meritata anche la possibilità di lavorare in nero. E senza versare un centesimo di tasse o contributi alle casse previdenziali.

LA ‘CASTA’ DEI CANTANTI E QUELLA DEI MILITARI. Negli anni però altre categorie di lavoratori – e indipendentemente dal decretone del 1973 – hanno ottenuto e mantenuto la possibilità di abbandonare il lavoro in anticipo. I militari, per esempio, vanno in pensione di vecchiaia appena arrivati a 60 anni di età. Altrimenti possono lasciare con 40 anni di carriera alle spalle oppure sommando 35 anni di contributi e i 57 anni all’anagrafe. Benefit anche per i poliziotti. Lasciano, in caso di trattamento di vecchiaia, a 65 anni i dirigenti generali, a 63 anni i dirigenti superiori, a 60 gli altri. Si va invece in pensione di anzianità a 57 anni e tre mesi di età sommando 35 anni di contributi, con 40 anni e tre mesi di contributi indipendentemente dall’età, a 53 anni e tre mesi di età, se vi è massima anzianità contributiva prevista dal particolare ordinamento di appartenenza. Anche dopo la riforma Fornero gli attori professionisti maschi hanno uno sconto di due anni e le donne di cinque; tra i cantanti gli uomini si possono ritirare a 61 anni, le donne a 57 anni, mentre ai ballerini bastano 46 anni di età e per gli sportivi 53. Sempre tra i cosiddetti usurati, anticipo di 10 anni per i marittimi e di cinque per il personale viaggiante del trasporto pubblico. I poligrafici in organico ad aziende in stato di crisi possono andare in pensione con 35 anni di contributi.
DI PIETRO E CELENTANO TRA I PRIVILEGIATI. Qualche anno fa fece scandalo un’inchiesta del settimanale Il Mondo, che pubblicò la lista di industriali, politici, magistrati e giornalisti privilegiati dal sistema delle pensioni baby. E ce n’erano di ogni risma: di destra e di sinistra così come moralizzatori o fautori dello statalismo e di un welfare più generoso del dovuto. Il nome più famoso è quello di Antonio Di Pietro, che lasciò la magistratura nel settembre 1995, a 45 anni. Cesare Geronzi approfittò del suo passato da alto dirigente della Banca d’Italia per portare a casa un assegno da quasi 20 mila euro già verso i 50 anni. Soldi ai quali ha cumulato altri emolumenti. Fece poi rumore il nome di Manuela Marrone in Bossi, che dal 1996, cioè da quando aveva 44 anni, stacca ogni mese un assegno per i suoi trascorsi da maestra. La moglie del Senatùr è quindi da quasi due decenni a carico di Roma Ladrona. Questa la politica. Ma anche in altri settori si è fatta la stessa scelta. Il moralizzatore mediatico più famoso d’Italia, Adriano Celantano, dal 1988, e a 50 anni precisi, prende la sua pensione d’anzianità.

 

fonte: http://siamolagente.altervista.org/pensioni-baby-ci-costano-9-miliardi-lanno/

Il Generale del Corpo Forestale Sergio Costa accusa: Abbiamo scoperto Terra dei fuochi. Ecco perchè ora lo Stato ci vuole fare fuori !!

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Intervista esclusiva al generale Costa: «Folle sciogliere il Corpo forestale». Sit in a Roma

di Gianluca Abate

Sergio Costa, generale, comandante regionale del Corpo forestale dello Stato. Ci sarà oggi a Roma per manifestare contro lo smantellamento della «sua» polizia?
«Purtroppo no».

Perché?
«Questa mattina abbiamo una riunione per decidere quali terreni della Terra dei fuochi vincolare e quali liberare. Non posso andare in piazza, ho l’obbligo etico di dare una risposta al Governo. Quello, per intenderci, che vuole cancellarmi».

Altrimenti che faceva, protestava pure lei?
«Certo. È una manifestazione nazionale che unisce tutti, un sit in cui parteciperanno i sindacati del Corpo forestale, Greenpeace, Wwf, Legambiente, Lipu, Libera».

Converrà che un generale che manifesta non è roba che si vede tutti i giorni.
«Vero, ma ben venga la protesta se è l’unico modo per denunciare l’ipotesi di disgregazione del corpo con l’assorbimento degli uomini — eventuale e non scontato — in altre forze dell’ordine».

Lo sa che l’Italia è il Paese con più forze di polizia? Lo dicono tutti, però poi appena se ne tocca qualcuna scattano le mobilitazioni.
«Ha ragione, è un dato di fatto. Però mi consenta due considerazioni».

Dica.
«Innanzitutto è stata l’Europa a chiedere che gli Stati membri si dotassero di una polizia ambientale sul modello del Corpo forestale. E poi guardi che le altre nazioni hanno facsimili delle nostre forze di polizia che svolgono le stesse funzioni, solo che non le chiamano polizia e quindi sembra che ne abbiano meno».

L’ipotesi del ministro Marianna Madia è quella di farvi confluire in altre forze dell’ordine, non di cancellarvi. Qual è dunque il problema?
«Siamo l’unica forza di polizia specializzata nei settori di ambiente e natura, e questo deriva dal fatto che veniamo preparati sin da giovani. Una peculiarità che perderemmo se finissimo nella polizia o nei carabinieri: lì prima ti formano come poliziotto generalista, poi ti specializzano».

E, al di là del dato temporale, qual è la differenza?
«Perdi l’elemento fondamentale della conoscenza giuridica e tecnica. Quello, per intenderci, dal quale è nato il caso Terra dei fuochi».

Dice che se indagava un’altra forza di polizia non l’avrebbe scoperta?
«No, dico che ognuno ha le sue competenze. Se io facessi un’indagine della guardia di finanza, per esempio, probabilmente combinerei un pasticcio. Così come solo la nostra specializzazione poteva consentire di scoprire il caso della Terra dei fuochi».

Addirittura?
«Forse non tutti ricordano che in quel caso fu utilizzato un metodo scientifico d’indagine unico nel mondo, incrociando i dati ortofotogrammetrici con i campi magnetici della crosta terrestre. Le alterazioni del segnale ci hanno permesso di scoprire dove erano seppelliti i rifiuti. Ora lo chiedo io a lei: chi altro lo poteva fare?».

Be’, magari…
«Aspetti, non ho finito. La nuova legge sugli ecoreati è un passo avanti siderale nella tutela dell’ambiente. Però prevede che l’organo di polizia, oltre a occuparsi delle investigazioni, debba anche emettere delle prescrizioni. Il che, ovviamente, prevede una specializzazione che solo noi abbiamo».

Una contraddizione?
«Peggio, un controsenso. Approvi la legge e dopo tagli gli unici agenti che possono farla applicare?».

Insomma, il modello di contrasto alla Terra dei fuochi è in pericolo?
«Quando smetti di ragionare anche da tecnico e inizi a pensare solo da poliziotto corri il rischio di vanificare il monitoraggio. E, dunque, si depotenziano i controlli e si abbassa il livello di presidio ambientale».

È un via libera ai reati?
«Non è solo questo. Molti dimenticano che noi, oltre a investigare, siamo chiamati anche a trovare soluzioni tecniche al disastro ambientale».

Eppure sabato scorso il Capo dello Stato ha rilanciato con forza l’allarme sulla Terra dei fuochi, definendola «emblema del degrado italiano».
«Le parole del Presidente della Repubblica meritano solo applausi. Ma è questo che non capisco. Abbiamo indagato, cercato i rifiuti, trovato le soluzioni. E ora ci smantellano?».

Non è che accusa per difendere la sua carriera?
«Sono un generale, male che mi vada farei il questore. Anzi, mi si spalancherebbero le porte per una carriera da dirigente generale che nel Corpo forestale non esiste. La verità è che qui non ci guadagno io, ma i criminali dell’ambiente».

Questa è una sua ipotesi o ha prove certe?
«Certe proprio no, ma diciamo che è più di una ipotesi. Un nostro informatore ci aveva già avvertito».

E cosa vi aveva detto?
«Ci ha raccontato che, il giorno in cui è stato annunciato lo smantellamento del Corpo forestale, personaggi vicini alle ecomafie operanti tra Napoli e Caserta hanno acquistato dolci e spumante per festeggiare la notizia. Brindare non è un reato, per carità. Ma è un segnale, no?».

 

fonte: http://zapping.altervista.org/il-generale-del-corpo-forestale-sergio-costa-accusa-abbiamo-scoperto-terra-dei-fuochi-ecco-perche-ora-lo-stato-ci-vuole-fare-fuori/

Mentre l’Europa è alla fame a Bruxelles si aumentano i privilegi !!

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Mentre i cittadini europei sono ridotti alla fame e alla miseria per via delle misure lacrime e sangue imposte dai parassiti di Bruxelles i parlamentari europei stanno lavorando per aumentare i contributi ricevuti per assumere portaborse.

 

 

Mentre i cittadini europei sono ridotti alla fame e alla miseria per via delle misure lacrime e sangue imposte dai parassiti di Bruxelles i parlamentari europei stanno lavorando per aumentare i contributi ricevuti per assumere portaborse.

Secondo un documentato articolo d’inchiesta pubblicato pochi giorni fa dal Daily Express i nostri degni rappresentati al parlamento europeo vogliono aumentare di 18mila euro l’ammontare della diaria ricevuta da ciascuno di essi ogni anno destinata ad assumere nuovi collaboratori e tale somma si aggiunge ai tanti generosi sussidi e stipendi di cui godono.

Infatti, ogni parlamentare europeo riceve uno stipendio di 70mila euro all’anno più vari rimborsi spese e gettoni di presenza che permettono loro di aumentare sensibilmente le loro remunerazioni e se tale misura viene approvata il costo di ogni singolo parlamentare europeo salirebbe a 270mila euro all’anno.

Tale somma moltiplicata per tutti i parlamentari europei e per gli anni del loro mandato ammonterebbe a circa 1 miliardo di euro per i prossimi cinque anni, circa duemila miliardi delle vecchie lire.

Se questo non fosse sufficiente per mandare i cittadini europei su tutte le furie alcuni parlamentari europei hanno proposto un aumento di 36mila euro all’anno dei contributi per i portaborse, il doppio di quanto il parlamento europeo sarebbe disposto a concedere.

Tale notizia è stata accolta molto negativamente dai movimenti euroscettici britannici i quali hanno usato questa storia per convincere i cittadini d’Oltremanica della necessità di far uscire la Gran Bretagna fuori dalla UE.

Ovviamente lo stesso argomento vale per l’Italia ma nel nostro paese non c’è stata nessuna reazione visto che i giornali di regime hanno preferito censurare questa notizia perché darebbe fastidio alla nostra classe politica. Basti ricordare che addirittura è stato censurato dai telegiornali nazionali italiani il risultato delle elezioni politiche nazionali in Finlandia, solo per il fatto che hanno vinto le formazioni politiche anti Ue.

Autore: Giuseppe De Santis / Fonte: ilnord.it

DA: ecplanet.com